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La grande mattanza. Storia della guerra al brigantaggio

Enzo Ciconte
Bari-Roma, Laterza, 277 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2018

La storia del brigantaggio meridionale, in età moderna e contemporanea, è il cuore
di questo libro. L’a. riflette sulle forme di contrasto e di repressione del fenomeno, usate
dai governi asburgico, borbonico, napoleonide e poi unitario. Il racconto parte dal XVI
secolo per terminare nella seconda metà del XIX con la fine del brigantaggio postunitario.
Secondo Ciconte, lo studio della repressione mostra visioni e modelli propri di un conflitto
sociale, diretto a reprimere gli attori ribelli e marginali, pur in un contesto politicoideologico
inserito in problemi più generali.
Un quadro che emerge con forza nel ’600. L’a. propone un rapido sguardo, soprattutto
sulle azioni repressive di Stati italiani o asburgici, rilevando una larga convergenza in
antico regime. Innanzitutto sul profilo sociale di un banditismo che è sempre strettamente
connesso alle caratteristiche della società feudale. In secondo luogo su pratiche operative
che finiscono per somigliarsi: l’uso di premi e taglie per favorire delazioni e tradimenti, la
spettacolarizzazione delle esecuzioni, le trattative con i briganti.
Il libro passa direttamente alla fase risorgimentale, analizzando lo sviluppo del
brigantaggio durante le guerre della Rivoluzione e dell’Impero, in cui fu coinvolto il
Mezzogiorno. Anche qui, secondo l’a, francesi e napoletani riuscirono a sconfiggere (nel
Decennio) l’insorgenza e il banditismo, grazie ad azioni pesanti e crudeli (come quelle
degli avversari), senza però modificare il contesto sociale, anzi aggravandolo con la fine
della feudalità. Uno schema riproposto nella rapida rassegna che dedica al periodo delle
restaurazioni borboniche (con una puntata sullo Stato pontificio), di fatto confermando
modelli repressivi e comportamenti delle forze di sicurezza inserite in una crisi sociale,
pur di minore impatto.
La fase postunitaria e la guerra dello Stato unitario al brigantaggio occupano la parte
più rilevante del volume. L’a. analizza molti episodi del decennio successivo al 1860, ponendo
sempre al centro le azioni dei militari e delle istituzioni italiane, ma esaminando
alcune forme di contrasto al brigantaggio politico e alle sue varianti criminali. La tesi
ribadisce la versione di una repressione brutale, non molto diversa dalle esperienze precedenti,
ma forse più ampia e radicale per le caratteristiche del conflitto rurale esploso con
l’unificazione.
La sua interpretazione considera il brigantaggio un fenomeno di resistenza sociale,
pur privo di un progetto politico generale, mosso da insoddisfazione e miseria, e respinto
dai ceti dominanti che invece trovavano nella unificazione la propria definitiva legittimazione.
Ciconte riprende alcuni tesi tradizionali, inserendole in una versione abbastanza
diffusa nel discorso pubblico recente. Sono visioni che tendono a valorizzare questioni
come il ruolo della camorra (in realtà marginale nelle vicende politiche dell’epoca), o al
centro di dibattiti sin dall’unificazione stessa (il tema della divisione dei beni demaniali),
unificate e riproposte nell’esame della guerra al brigantaggio.

Carmine Pinto