Anno di pubblicazione: 2014
Gli studi recenti sul Dodecaneso si sono accresciuti numericamente negli ultimi
anni. Non soltanto perché vi è finalmente chi ne ha scritto anche molto, com’è avvenuto
con Luca Pignataro, il quale ha persino rivendicato una sorta di primazia e di monopolio.
Ma non è questione di pagine, bensì di fonti e di come le si interrogano. Il fatto è che,
a Rodi, le vicende belliche della seconda guerra mondiale hanno fatto sì che importanti
fondi archivistici siano rimasti in vita quasi intatti. Era avvenuto in maniera simile anche
a Belgrado e in alcune capitali balcaniche: ma lì l’occupazione italiana era durata
tre-quattro anni, e la storiografia italiana è a lungo sembrata poco interessata allo studio
delle modalità di quell’occupazione. A Rodi e nel Dodecaneso, invece, la situazione è
stata tutta diversa: l’occupazione coloniale italiana è durata trent’anni e i più avvertiti
fra i ricercatori – penso ad esempio a Marco Clementi – hanno capito l’importanza della
disponibilità, ad esempio, delle serie quasi integrali delle carte del governatore e dei carabinieri,
che permettevano di fare una storia totale dell’occupazione.
Tutto ciò si ricorda per inquadrare questo volume, che purtroppo non fa niente di
simile e quindi si distacca forzatamente da questa nuova tendenza della ricerca, pur essendo
meritevole di segnalazione. Ma per altri motivi.
Seguendo infatti alcuni consigli dei generali della Guardia di finanza Pierpaolo Meccariello
e Luciano Luciani, nonché di studiosi come il capitano Gerardo Severino, che
tutti avevano già dimostrato nei loro lavori l’importanza di quel corpo nei contesti di
occupazione ai fini di polizia doganale ed economica, il volenteroso autore si è avvantaggiato
della ricchezza dell’archivio storico della Guardia. Ha integrato questi dati con documentazione
proveniente da altri archivi militari e dall’Acs. È insomma rimasto in Italia
e ha usufruito della pubblicazione del volume a cura del Museo storico della Guardia di
finanza, in una bella veste editoriale.
Già con questa documentazione però l’a. dimostra la rilevanza della presenza – e
della pressione, e dell’oppressione – coloniale italiana. E a ben leggere le sue note egli
ne mostra anche l’incrudimento nel passaggio dall’Italia liberale a quella fascista. Ma fa
vedere che anche la prima, pur tenendo bassa la tassazione, aveva introdotto un sistema
economico del tutto nuovo per quelle isole.
Indeboliscono un po’ il volume una scrittura qua e là ridondante, una certa irresolutezza
storiografica (riportare sempre le posizioni in dibattito non basta), e una talora
eccessiva eulogia, che nemmeno la migliore storiografia ufficiale – quella ad esempio di
Meccariello, Luciani o Severino – ormai più produce.
Ma il tema è troppo importante – il ruolo appunto degli italiani nella ristrutturazione
economica di un territorio colonizzato, anche mediante la Guardia di finanza –, le
fonti sono magnifiche, il Museo al solito generoso nella pubblicazione: e quindi il volume
meritava di essere segnalato.