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La guerra di Atena. Il «luogo» della Grande guerra nell’evoluzione delle forme liberali di governo: Regno Unito, Francia e Italia

Andrea Guiso
Milano, Le Monnier, 397 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2017

Le guerre segnano in modo lineare e coerente il cammino dello Stato moderno. Gli
imperativi militari creano confini, sovranità e assolutismo, fino a imporre stati d’eccezione.
Ma un percorso parallelo limita i poteri assoluti, li scompone, oppone pubblicità e rappresentanza.
In che modo dunque lo Stato moderno, divenuto liberale rappresentativo,
affronta l’emergenza della guerra, che potenzia lo Stato macchina, invoca poteri saldi e
concentrati, e segreti nascosti all’opinione? Il nodo accompagna tutto il costituzionalismo
ottocentesco: si pensi al populismo bonapartista, alla Crimea, al Reich proclamato a Versailles,
e magari anche alla «dittatura» garibaldina e poi alla legge Pica… Ma tutto ciò è
nulla rispetto a quanto accade con la prima guerra mondiale, che in regime parlamentare
di massa e di partiti, tendenzialmente democratico, impone mobilitazione totale e inutili
stragi.
È questo il tema che ispira la ricerca di Andrea Guiso. Una buona volta, il libro è realmente
comparativo (semmai soffre, molto, l’assenza della Germania). Esalta la similarità
dei processi, ma perciò anche le specificità, le sostanziali differenze. Vi sono Stati invasi
come la Francia, potenza terrestre, e altri che combattono fuori dai confini, come il Regno
Unito, potenza marittima. Dapprima l’emergenza, l’union sacrée, ovunque indebolisce la
rappresentanza e la pubblicità, mortifica la dialettica parlamentare (che sia la dialettica
bipartitica in Uk o il regime di partito nella Terza Repubblica…), e variamente si intreccia
con il sistema proporzionale e maggioritario, o col sistema di partito e variamente modella
la triangolazione tra governo, Parlamento e comando supremo (è uno dei temi meglio approfonditi).
Le ragioni tecniche delle scelte militari sovrastano quelle politiche (accadeva
già nella Grecia del VI secolo). Ma la guerra prolunga l’emergenza per imprevisti lunghi
anni; ecco il «progressivo indebolimento della disciplina unanimistica» (p. 170) e il delinearsi
di nuovi meccanismi, specie dopo il 1917: la «maggioranza del presidente», una
«democrazia dei capi». La personalizzazione del potere, o l’antiparlamentarismo, hanno
differente rilevanza nei vari paesi (da segnalare il caso italiano, specifico ma non eccezionale).
Gli intrecci tra leadership carismatica e parlamentarismo sono i più vari: basti
citare la «duplice anima» di Clemenceau: «parlamentarista, quando in gioco vi fosse stata
la difesa del regime costituzionale del progresso contro ogni tentativo di restaurazione di un
disegno costituzionale di tipo orleanista […]; cesaristica, quando invece si fosse trattato
d’infondere alla Repubblica dei repubblicani nuova energia e carica ideologica, collegando
idealmente la Convenzione giacobina di guerra con la dittatura parlamentare del 1917»
(p. 288).
Dilagano subordinate, incisi, sottolineature, aggettivazioni colte, allusioni, rinvii
indecifrabili, e non c’è sostantivo che non sia carico di aggettivi, o un verbo di avverbi.
Peccato, perché il tema è essenziale, e la ricerca è puntuale, dettagliata, molto originale.
Ne fosse solo più agevole la lettura…

Raffaele Romanelli