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La guerra e lo Stato 1914-1918

Giovanna Procacci, Nicola Labanca, Federico Goddi (a cura di)
Milano, Unicopli, 470 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2018

Riprendendo i risultati di un convegno svoltosi nel maggio 2017 a Roma, il volume
si pone in continuità con un’altra ricerca promossa dalla Fondazione Ugo La Malfa,
pubblicata negli «Annali» della stessa e in volume da Unicopli (2017), La società italiana e
la grande guerra. Molte conferme e una pertinente sistemazione da un volume di agevole
lettura, aggiornato e di ampio orizzonte, che si pone «i temi delle modifiche determinate
alla Grande Guerra sulla struttura dello Stato e sui rapporti tra i poteri che ne rappresentavano
l’ossatura» e si focalizza sui cambiamenti negli Stati determinati da vettori che con
tutta evidenza trascendono l’involucro dello Stato. Giustamente i curatori ricordano che
la Grande guerra invera l’assioma tratto dai processi di costruzione degli Stati «moderni»
da Charles Tilly, per cui «the States made war and war made the States» (p. 15).
Si generano infatti trasformazioni strutturali, oggetto delle quattro parti del volume.
La prima presenta il contesto europeo, con il quadro dei cambiamenti istituzionali
rispettivamente in Germania (Hirschfeld), in Francia (Bock), nell’Impero austroungarico
(Űberegger), in Russia (Panaccione) e Gran Bretagna (Marrocu). Le due parti
successive sono dedicate all’Italia. La seconda presenta i rapporti tra i poteri, ovvero i temi
dello stato di eccezione (Procacci), il Comando supremo – che in tutti i paesi belligeranti
è una vera e propria istituzione politica – (Labanca), della magistratura (Meniconi), oltre
a due prospettive significative, ovvero il rapporto con la Santa Sede, considerato anche
nella prospettiva transnazionale (Rigano) e quello centro periferia, ovvero le relazioni tra
Stato ed enti locali (Ermacora). La terza parte affronta lo strutturale tema delle istituzioni
per la mobilitazione, con contributi di Ciocca, Carucci, Tomassini e Degli Esposti. Una
«mobilitazione totale» che tuttavia non modifica gli assetti sociali e gli squilibri strutturali
dell’Italia da poco unificata.
La quarta e ultima parte del volume è dedicata a una riflessione prospettica sulle
conseguenze del conflitto. La Malfa conclude sulla lezione di Keynes, che è anche il
punto di partenza di Skidelsky. Charle riprende il tema della trasformazione delle «socieétés
impériales», ovvero Gran Bretagna, Germania e Francia, che pone una questione
di «décalage» e dunque mette in discussione la democrazia, per «l’incapacité à trouver de
nouvelles porpositions qui répondent aux attentes des électerus en détresse» (p. 448). «La
guerra – ricorda Costa – aveva mostrato non solo la pervasività della violenza, ma anche la
rilevanza della massa» (p. 420). La rottura tra Machtstaat e Rechtstaat posta da Schmitt è il
grande problema del dopoguerra: «ciò che appariva ormai indilazionabile era la creazione
di istituzioni capaci di governare una società di massa e di farsi in qualche modo carico
della dimensione biopolitica, dei bisogni vitali dei suoi membri» (p. 424). Ma occorrerà
attendere, per una Europa poi divisa, gli esiti di una guerra ancora più disastrosa.

Francesco Bonini