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La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole

Vanessa Roghi
Roma, Laterza, 256 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2017

Più che analizzare i contenuti di Lettera a una professoressa, il volume di Vanessa Roghi intende ricostruire le origini e la ricezione di questo «libretto rosso del movimento del Sessantotto italiano», «vademecum di ogni insegnante democratico», «livre de chevet di una generazione» (p. X). L’obiettivo dell’a. è proporre una storia culturale dell’opera pubblicata nel 1967 dai ragazzi della scuola di Barbiana con don Lorenzo Milani, per capire attraverso quali percorsi essa sia diventata un «libro-manifesto […], ma suo malgrado» (p. XI). Ciò che emerge è una traiettoria frastagliata che affonda le sue radici nella biografia umana e intellettuale del prete fiorentino, nel 1954 inviato dalla curia diocesana nell’isolato paesino sull’Appennino tosco-emiliano a causa delle sue posizioni giudicate inopportune dal punto di vista politico e religioso.
La scuola popolare fondata nella canonica di Barbiana per i figli dei contadini divenne nell’arco di pochi anni un riferimento per coloro che in Italia erano alla ricerca di forme nuove di didattica in grado di superare l’esclusione sociale e culturale patita dai ragazzi provenienti dai ceti più disagiati. Milani, morto un mese dopo la pubblicazione della Lettera, lasciò un’eredità di lunga durata, usata dai gruppi del dissenso cattolico e all’interno del movimento del Sessantotto, dai sostenitori della «pedagogia degli oppressi» (come Paulo Freire), da linguisti (a iniziare da Tullio De Mauro) che sottolineavano il nesso tra presa di parola e democrazia, e da insegnanti che ritenevano fosse fondamentale per ogni studente non certo «poter parlare di tutto, bensì poter parlare, alla pari, con tutti» (p. 147).
Pur partendo «dalle proprie domande e dalle proprie esperienze» e attraverso una forma linguistica in alcuni casi volutamente non rigorosa, Roghi inserisce il libro in un contesto ampio, per mostrare sia le stratificazioni di materiali presenti nell’elaborazione della Lettera, sia quelle che ritiene essere le forzature e le mistificazioni del volume operate da alcuni interpreti successivi. Secondo l’a., durante la contestazione studentesca, il libro fu spesso spogliato della sua complessità, tanto da renderlo un prontuario manualistico utile per le autogestioni e le occupazioni. Operazione simile, anche se di segno opposto e più persistente nel tempo, secondo Roghi, è quella compiuta dai detrattori della Lettera alla professoressa che, partendo da essa, volevano mettere sotto accusa il «principio democratico di allargamento della base sociale e condivisione del sapere» (p. 201). La Lettera, secondo l’a., rimane un passaggio nodale nella storia della cultura e della scuola, non soltanto in Italia: in essa si è riflessa la prassi educativa sperimentata a Barbiana da don Milani e, attraverso la sua denuncia delle inadempienze del sistema scolastico e la sua proposta «sovversiva» di cambiamento, è divenuta metro di paragone per moltissime esperienze intenzionate a eliminare i meccanismi di esclusione presenti nella scuola pubblica.

Marta Margotti