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La questione costituzionale in Italia

Paolo Pombeni
Bologna, il Mulino, 372 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2016

Paolo Pombeni ritorna sul tema della Costituente con un nuovo lavoro e approfondimenti di grande interesse. Ad esempio, riporta un giudizio sulla Costituzione di Dossetti, inedito alla vulgata corrente e importante, provenendo da una figura così centrale in quel dibattito, a cui l’a. ha dedicato lavori che fanno testo. Nel dicembre del 1948 il leader reggiano si espresse così sulla Carta: «una costruzione scialba, monocroma, dannosa, con uguale potere fanatico del vecchio dottrinarismo del supercontrollo» (p. 305). È quasi uno scatto d’ira e non va preso alla lettera, ma riflette quella che sarà poi la constatazione della stessa Dc lungo la prima legislatura, nel varare l’ampio ventaglio di riforme che allora fu messo a punto, incominciando dalla riforma agraria. Il bicameralismo perfetto, corredato dei regolamenti che le Camere avevano desunto dall’epoca prefascista, dell’inclinazione assembleare che la Costituzione aveva conferito ai rapporti tra esecutivo e legislativo, della cornice di contropoteri che erano stati predisposti, dalle Regioni alla Corte costituzionale, alla stessa illimitata indipendenza della magistratura, tutto ciò rendeva aspro e tortuoso l’iter legislativo e difficile uscire dal labirinto delle discussioni parlamentari (anche da ciò s’intende il «congelamento» costituzionale della prima legislatura).
Dossetti era un riformatore e il suo disegno di riforma politica andava ben al di là dello stesso disegno degasperiano. S’intende il suo giudizio che riguarda con evidenza la seconda parte della Costituzione sull’ordinamento della Repubblica. Ma perché andò così? L’a., che coglie con acutezza tanti aspetti del dibattito costituente e di quello seguente, non risponde esaurientemente a questo interrogativo. Tra i risultati conseguiti col «progetto di Costituzione» dalla Commissione dei 75 e la seguente discussione in aula c’è un sensibile iato. C’era già stata una preoccupazione latente che l’incipiente guerra fredda alimentava. L’a. sottovaluta l’intervento di De Gasperi alla prima riunione del gruppo parlamentare Dc in cui escluse qualsivoglia modello «presidenziale». Ma con il 1947 la rottura era alle porte. Soprattutto non si sapeva chi avrebbe vinto le elezioni del primo Parlamento. Le previsioni rimasero, del resto, incerte fino alle soglie del 18 aprile. Le parti contrapposte presero dunque a confluire su di un’ipotesi che rendesse debole l’esecutivo rispetto al Parlamento, nell’incertezza reciproca del futuro. L’andamento del dibattito, nel 1947, in plenaria, ne è una dimostrazione lampante, compresa la radicale scelta proporzionalistica, su cui l’a. si sofferma, e che non approdò tuttavia ad un inserimento nel testo costituzionale.
Precisa è invece la riflessione dell’a. sul 1953: la sconfitta della legge maggioritaria generò definitivamente il regime assembleare della Prima Repubblica che divenne, rispetto ai profili pure incerti della Carta costituzionale, come la definisce Orlando, «sostanza dell’ordinamento giuridico», o come altri la definiscono, «costituzione materiale», concetto anche quest’ultimo derivante, in ultima analisi, da Santi Romano.

Piero Craveri