Anno di pubblicazione: 2013
Le violenze nella cittadina di Sumgait (Azerbaijan) avvennero negli anni della crisi dell’Urss, quando venivano al pettine questioni che avevano avuto origine in tempi diversi: la definizione dei confini delle repubbliche e delle regioni autonome, gli esiti degli spostamenti forzati di popolazioni, le politiche di russificazione, l’esistenza di un sistema di potere che nelle repubbliche alimentava potenti clientele, il progressivo rallentamento dello sviluppo a fronte di sprechi di dimensioni colossali. Nel caos che stava crescendo nel corso della seconda metà degli anni ’80, i poteri forti iniziarono a farsi la guerra speculando sugli animi accesi di molti cittadini incalzati dal peggiorare delle condizioni di vita e dalla paura.
Il libro, originalmente pubblicato in inglese nel 1990, documenta a caldo le dinamiche delle violenze attraverso varie interviste. Nell’introduzione Samuel Shahmuradian lega i fatti di Sumgait alle tensioni esistenti in Nagorno-Karabakh, regione dell’Azerbaijan abitata da una popolazione armena che voleva essere annessa all’Armenia, e sostiene che le violenze furono preparate e organizzate con cura da chi aveva interesse ad accendere un conflitto più grande. Non era possibile allora avere un quadro adeguatamente complesso della situazione, il suo era un instant book che denunciava violenze in corso e forniva una prima interpretazione corretta dei fatti. Nel 1990 vi furono altre violenze a Baku e le tensioni in Nagorno-Karabakh si trasformarono in una vera guerra, che tra il 1988 e il 1994 provocò circa 25.000 morti e un milione di profughi (sia armeni, che azeri).
L’edizione italiana aggiunge una Risoluzione del Consiglio EU del 1988 in cui si condannano le violenze a Sumgait e si sostiene che l’annessione del Nagorno-Karabakh all’Azerbaijan (1923) fu arbitraria e che la regione fa storicamente parte dell’Armenia. Rouben Karapetian, ex ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia, nell’introduzione pare dimenticare la Risoluzione e scrive che la mancata condanna delle violenze a Sungait «ha fatto sì» che il governo azero abbia poi attuato la pulizia etnica in Nagorno-Karabakh (forse ignora le dinamiche della guerra e le pulizie etniche da entrambe le parti) e ricorda che la non condanna del genocidio armeno del 1915, secondo lui, «ha generato» la Shoah. L’ex ambasciatore ritiene che l’autonomia territoriale può essere una soluzione per altre situazioni (Ossezia, Abkhazia, Ucraina orientale?), ma non per il Nagorno Karabakh. Non ci spiega il perché, ma dobbiamo credergli. Il curatore, Pietro Kuciukian, console armeno in Italia, spiega che gli attacchi agli armeni furono fatti da «compagni comunisti» (tutto qui) e sostiene che si debba ricostruire la «verità dei fatti», ma non fa nulla in questa direzione.
La costruzione della memoria, soprattutto quanto riguarda fatti così gravidi di conseguenze, è un fatto serio e complesso. I curatori dell’edizione italiana forse non se ne rendono conto.