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L’«Affaire Dreyfus» e l’«accusa del sangue». La vivace polemica antiebraica della stampa cattolica udinese tra Otto e Novecento

Valerio Marchi
Udine, Del Bianco, 211 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2013

Negli ultimi decenni la storiografia ha dato vita ad una feconda stagione di ricerca sulle matrici culturali e politiche dell’antisemitismo italiano. Marchi si inserisce in questo filone quale autore di studi sull’antisemitismo cattolico in Friuli tra ’800 e ’900. Il libro affronta le polemiche sull’affaire Dreyfus e sulla calunnia del sangue, completando una più vasta ricerca nata come tesi di dottorato sulla «questione ebraica» nella stampa cattolica udinese fra il 1880 e il 1914. Lo studio muove dall’analisi dei periodici del movimento cattolico, assestato su posizioni di radicale intransigenza e controllato dalle gerarchie ecclesiastiche, ma sfugge ad orizzonti meramente localistici. Il cattolicesimo friulano appare spazio di ricezione, rielaborazione e riproduzione di un’ostilità antiebraica di nuovo tipo che, generatasi dal rifiuto ecclesiastico della modernità e consolidatasi fra il caso Mortara (1858) e la presa di Roma, diventa arma propagandistica di rilancio del ruolo politico e sociale della Chiesa. I due nuclei tematici presi in esame corrispondono a momenti di un progetto propagandistico che, fondato sulla visione dello Stato liberale quale esito di una cospirazione giudaico-massonica, ha per corollario politico la revoca, nel nome della difesa identitaria del «paese reale» (ossia cattolico), dell’emancipazione ebraica. Fra il 1894 e il 1906 l’affaire Dreyfus fu, anche in Friuli, terreno di scontro fra due modelli di società in radicale opposizione fra loro. La stampa cattolica, pur costretta a sospendere dal 1898 le iniziali certezze sulla colpevolezza del capitano ebreo, diede vita a una martellante campagna imperniata sui «tristi e monotoni ritornelli, sempre considerati veri e giusti» (p. 99) sul complotto giudaico-massonico e sullo strapotere di un ebraismo nemico, corruttore e corrosivo della «nazione cattolica». Questo studio, d’altra parte, documenta la resistenza al discorso antisemita operata – in parallelo alla campagna revisionista lanciata da Lazare e Zola e sfociata nel processo di Rennes (1899) – dalle culture politiche liberali, artefici a Udine e in provincia di un’intensa mobilitazione dreyfusarda. La stampa cattolica friulana, invece, intervenne solo occasionalmente sull’accusa del sangue, legittimando comunque in vari modi, richiamandosi a vicende di attualità o a motivi folklorici e devozionali, il micidiale stereotipo dell’«omicidio rituale». Lo studio della realtà locale friulana offre una nuova conferma alla tesi storiografica sulla natura dell’antisemitismo cattolico fin-de-siècle, codice culturale dell’intransigenza destinato, al di là delle intenzioni dei suoi attori, a preparare il terreno almeno sul piano della mentalità e della cultura diffusa ai drammatici eventi del ’900. Sarebbe opportuno, a nostro avviso, interrogarsi sull’eventuale impatto contestuale di tali campagne propagandistiche, sui loro riflessi sull’integrazione delle minoranze ebraiche, muovendo dall’esame di singole realtà locali.

Emanuele D’Antonio