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L’anarchismo in Italia 1945-1960

Fabrizio Giulietti
Casalvelino Scalo, Galzerano, 396 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2018

Studioso dell’anarchismo italiano dall’età giolittiana al fascismo, nel suo ultimo la- voro Fabrizio Giulietti affronta le vicende del movimento libertario nel delicato passaggio del secondo dopoguerra. Il contesto è quello dell’impossibilità di una svolta rivoluzionaria e del trionfo dello Stato democratico, ma anche di un’Italia che, nel corso del conflitto, a nord e a sud, aveva vissuto due esperienze diverse che caratterizzarono la ricomposizione stessa del movimento.
Difatti, nel Meridione gli ambienti libertari, in particolare grazie all’iniziativa della redazione della rivista «Volontà», proposero un approccio innovativo, dal taglio culturale ed educativo, svincolato da una rigida concezione classista che, invece, contraddistinse i gruppi che andarono ricostituendosi al Nord, maggiormente legati al movimento sin- dacale e alla dimensione politico-organizzativa. Ciò che più si evidenzia fu la difficoltà dei libertari a ricollocarsi in un mondo diviso in sfere di influenza e in una realtà italiana nella quale, a sinistra, era netta la predominanza del Partito comunista. Gli stessi sforzi di «Volontà», volti a una ridefinizione teorico-pratica capace di confrontarsi con la questione istituzionale in un’accezione non solo negativa, resteranno confinati in una pur preziosa dimensione teoretica, ma senza ricadute effettive nella società italiana.
Si rileva così una chiara cesura tra la diffusione dell’anarchismo prima dell’avvento del fascismo e il suo radicamento in età repubblicana. Nonostante la presenza di perso- nalità di una certa levatura e autorevolezza e un accurato impegno pubblicistico, l’anar- chismo subì un forte ridimensionamento presentandosi come un’area politico-culturale assai ridotta e sempre sull’orlo della scissione, il più delle volte – ma non sempre – evitata più in ragione della comune, quanto generale, appartenenza dottrinaria che in forza di una effettiva capacità propositiva. Per quanto fosse un ambito dinamico, la scarsa capa- cità di sperimentazione è testimoniata dal fragile processo compositivo della Federazione anarchica italiana ma anche da una vera e propria ossessione politica e un’ansia organiz- zativa, che sarebbero sfociate in effimeri tentativi associativi. Si determinò un ristagno operativo e un riflusso dell’iniziativa militante solo in parte superata con la mobilitazione antifascista dell’estate del 1960, durante il governo Tambroni, che permise al movimento antiautoritario di misurare una certa capacità espansiva.
Il testo di Giulietti offre un affresco dettagliato sull’insieme dell’anarchismo italiano del secondo dopoguerra, basato prevalentemente su fonti a stampa, con una riflessione incentrata sia sulla dimensione culturale sia sugli istituti politici. Pur evincendosi poco una più precisa dimensione quantitativa, ne esce un ambiente ricco e vivace, testimone della propria incompatibilità con i nuovi assetti statuali postbellici.

Roberto Carocci