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L’arena del duce. Storia del Partito Nazionale Fascista a Verona

Federico Melotto
Roma, Donzelli, 295 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2016

Gli studi locali sul fascismo hanno conosciuto negli ultimi anni una nuova vitalità che ha permesso di ridefinire e dare concretezza ad alcune delle grandi questioni che innervano da decenni il dibattito storiografico. I rapporti Stato-partito e centro-periferia o la dialettica tra forza e consenso (solo per fare qualche esempio) sono usciti da una sfera prevalentemente ideologica per essere sondati e messi alla prova nei contesti locali. In questo filone di studi si situa anche L’Arena del duce che ricostruisce le vicende del fascismo a Verona e provincia dal 1919 al 1940.
Alla prova della realtà locale, e grazie alla ricchissima documentazione raccolta dall’a., alcune associazioni troppo affrettate escono quantomeno ridimensionate. È il caso, per esempio, del prefetto con piglio da squadrista Luigi Miranda o, all’opposto, dello squadrista prefetto Marcello Vaccari. Ma emerge anche la presa e il radicamento del fascismo nella vita quotidiana dei veronesi, grazie all’azione capillare e disciplinante di funzionari di partito, grandi e piccoli burocrati, visitatrici dell’Onmi, che pure riescono talvolta ad arginare una povertà endemica. Altro aspetto interessante – non a caso ripreso anche nell’Introduzione di Emilio Franzina – è la transizione al fascismo di molti esponenti della classe dirigente liberale, ben esemplificata nella figura di Luigi Messedaglia che già il 29 ottobre 1922 non si fa remore ad abbandonare i «feticci della legalità» pur di entrare a far parte della nuova legalità fascista. Una legalità che è anche ben analizzata – pure in ottica di comparazione con le altre province venete – nelle pagine che trattano dei plebisciti del 1929 e del 1934, da cui emergono una solidità e un’adesione al fascismo più articolata di quanto ci si potrebbe aspettare, e che l’a. mette bene in evidenza.
Grazie a una scrittura avvincente, l’a. è capace di offrire un quadro a tutto tondo della storia del fascismo veronese che si snoda per quasi 300 pagine. Alla fine, tuttavia, una domanda resta in sospeso: nonostante il titolo e il tutto sommato effimero primato di fascio terzogenito, Verona è davvero la città del duce? La figura di Mussolini ha un ruolo secondario nella storia della città durante il ventennio, quasi a dimostrazione di una connotazione periferica da cui il capoluogo scaligero fatica ad uscire. Non per questo, il caso veronese è meno interessante e anzi si rivela particolarmente indicativo di un fascismo provinciale comunque radicato e vitale. Tuttavia, un dialogo più esplicito tra l’esperienza del fascismo veronese e quella del fascismo nazionale avrebbe forse permesso di incidere maggiormente sull’attuale dibattito storiografico.

Matteo Millan