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L’avventura della pace. Pacifismo e Grande guerra

Bruna Bianchi
Milano, Unicopli, 557 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2018

L’illusione che i movimenti socialisti potessero impedire lo scoppio della Grande guerra svanì nell’agosto 1914. Dopo un primo momento di disorientamento, tuttavia, in molti paesi si costituirono nuove associazioni che rilanciarono il pacifismo, sostenendo il disarmo, la pratica degli arbitrati, la giustizia sociale. Additati come traditori in nome del patriottismo, perseguitati dagli apparati repressivi degli Stati, non ottennero risultati concreti, ma seppero comprendere con acutezza dove avrebbero portato le nuove regole introdotte per lo stato di guerra.
Su questi movimenti, fino a tempi recenti, è stato scritto poco, soprattutto in Italia. L’a., con il suo ponderoso lavoro, viene ora a colmare un vuoto. Il volume è strutturato in due parti. La prima esamina le organizzazioni pacifiste che nacquero nel periodo della guerra, soprattutto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove i movimenti pacifisti poterono agire con maggiore libertà che in Francia, Germania o Italia. Molte pagine sono dedicate al pacifismo femminile, per molti aspetti vero protagonista del volume, studiato attraverso le riviste dirette da donne, le loro composizioni poetiche e le opere teatrali scritte nel periodo della guerra, anche se raramente rappresentate per ovvi motivi di censura. Di particolare interesse sono le parti dedicate alla riflessione di alcuni pacifisti sul radicale mutamento che la guerra aveva imposto ai principi democratici. Si pensi, ad esempio, a quanto scriveva John Atkins Hobson, un economista noto soprattutto per il suo Imperialism. A Study, apparso nel 1902. Scrivendo nel 1917, Hobson prevedeva con lucidità che la guerra non avrebbe portato, come ritenevano ottimisticamente alcuni, la fine del militarismo e un aumento delle libertà, ma al contrario un restringimento di queste. «Molte regole e restrizioni – scriveva Hobson – imposte durante il conflitto saranno mantenute in nome della difesa nazionale o, più in generale, del bene pubblico» (p. 103).
La seconda parte del volume è dedicata a una rassegna del pacifismo italiano a partire dalla guerra di Libia. Viene seguita la parabola di Ernesto Teodoro Moneta, insignito del premio Nobel per la pace nel 1907, che tuttavia, da vecchio garibaldino, non condannò l’impresa di Libia e si dichiarò a favore dell’intervento italiano nel 1915. Come lui si comportarono altri esponenti del pacifismo italiano. Pochi furono coloro che mantennero durante il conflitto una coerenza pacifista, come Enrico Bignami, fautore di una lega dei paesi neutrali, Giuseppe Banchetti, Giovanni Pioli, Alma dolens o Rosa Genoni, per non parlare delle donne socialiste.
Il volume è pieno di spunti e apre numerose piste di ricerca per ulteriori studi. Stupisce solo l’assenza di un cenno all’azione per la pace di Benedetto XV, fautore di iniziative per porre termine all’«inutile strage» o quantomeno per attenuare gli aspetti più duri della guerra. Completa il volume una scelta di appelli, manifesti, risoluzioni pacifiste, molti dei quali tradotti per la prima volta in italiano.

Alfredo Canavero