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Le donne del cinema. Dive, registe, spettatrici

Veronica Pravadelli
Roma-Bari, Laterza, 225 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2014

Cosa ha rappresentato il cinema nella vita delle donne? Con un approccio che intreccia
teoria e storia, l’a., studiosa del cinema americano e di quello italiano postneorealista,
affronta il tema a partire da tre figure: la spettatrice, la diva, la regista. A esse
corrispondono le tre partizioni del libro.
È sua convinzione, suffragata da una miriade di fonti, che l’esperienza della spettatrice
sia profondamente mutata nel corso della storia del cinema. Agli inizi del ’900 è legata
alla modernità urbana e alle sue nuove opportunità di lavoro, di consumo e di intrattenimento:
come la inedita flâneuse del grande magazzino di fine ’800, anche la spettatrice
è immagine di una femminilità moderna. Hanno in comune la novità dello sguardo e il
piacere. Grazie alla nuova cultura visuale promossa dal cinema, le donne ebbero modo di
vedere se stesse nello schermo e di riconoscersi.
Ma già con l’emergere del film narrativo e con il divismo (fino alle celebrity della
contemporaneità) l’esperienza della spettatrice cambia radicalmente e il riconoscimento
di sé cede il passo all’attività inconscia dell’identificazione: un concetto che appartiene
alla psicoanalisi e che l’a. propone come più appropriato a descrivere il rapporto nuovo
della spettatrice con le dive del cinema hollywoodiano degli anni ’20, ’30 e ’40. Se vi è un
legame stretto, come afferma l’a., tra l’emancipazione delle donne e il cinema, è l’attrice
con i suoi personaggi e la sua vita che ha aiutato la spettatrice a entrare nella modernità.
Approfondendo dunque il tema del divismo, l’a. discute in modo convincente le
teorie psicoanalitiche del cinema degli anni ’70 e la Feminist Film Theory (Fft) che in
parte le prosegue: il riferimento è in particolare alle tesi sostenute da Laura Mulvey, secondo
le quali nel cinema classico la funzione della donna è solo di oggetto erotico e la
spettatrice si identifica con la propria subordinazione. L’a. riconosce a queste posizioni
un’efficacia di rottura e di avvio di un dibattito, ma le ritiene riduttive: nella sua lettura,
attenta piuttosto agli aspetti contraddittori e mobili delle storie e dei tipi femminili messi
in scena, il cinema hollywoodiano rendeva invece possibile una pluralità di dinamiche di
identificazione e il desiderio fantasmatico femminile (nella lettura di Laplanche e Pontalis
del concetto freudiano di fantasma) prendeva corpo in identità mutevoli.
È nel cinema sperimentale, che con qualche schematismo, osserva l’a., la Fft si oppone
al cinema dominante generatore di «falsa coscienza», che si rompe la «sutura» (Lacan)
che lega lo spettatore all’immagine e se ne distrugge il piacere. Di particolare interesse è
l’analisi in profondità che l’a. dedica al cinema femminista degli anni ’70 e ’80, alle sue
pratiche di decostruzione e di ricerca di nuovo linguaggio, al ruolo determinante affidato
alla parola, al fine di attivare nella spettatrice il pensiero e la presa di coscienza.
Il punto di approdo del percorso di ricerca, altrettanto ricco di suggestioni e di
acquisizione di conoscenze, è nella contemporaneità, dal New Queer Cinema al nuovo
cinema lesbico di metà anni ’90, al World Cinema dell’ultimo decennio.

 Anna Scattigno