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Le due Italie. Azionismo e qualunquismo (1943-1948)

Alberto Guasco
Milano, Franco- Angeli, 110 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il libro, articolato in tre capitoli, è insieme denso, interessante e problematico. In cento pagine, talvolta di difficile lettura e con qualche significativa lacuna storiografica, l’a. mette in relazione la vicenda di due soggetti politici antitetici tra di loro, nati durante la seconda guerra mondiale e incapaci di «resistere» alla genesi della Repubblica perché schiacciati, da un lato, dai tre Partiti di massa (Psi, Pci, Dc) e, dall’altro, dai Partiti laici minori (Pri, Pli e Psli) e dal Msi, il partito neofascista (non di nome ma di fatto) fondato alla fine del 1946. Due soggetti nuovi dietro ai quali si nascondevano non solo visioni opposte dell’Italia postfascista, ma quasi due dimensioni antropologiche incompatibili.
Il volume, a ben guardare, stimola dubbi più che fornire risposte a domande inevase da prima del 1999, anno della tesi di laurea dell’a., radice di una riflessione proseguita con il dottorato e giunta a compimento in un arco di tempo ampio, quasi un ventennio. Pd’A e Uq (soprattutto prima del 1947 anche rifugio di ex fascisti) possono davvero essere associati a due culture politiche inquadrabili e, di conseguenza, riconoscibili? Se sì, queste culture sono sopravvissute al 1947-1948? Oppure Pd’A e Uq hanno per lo più risposto a forti «pulsioni» politico-culturali ed emotive presenti prima del 1942-1943, capaci di tradursi in modo diverso nella negazione delle istanze ideologico-politiche degli altri Partiti più che in organici programmi di governo, connessi con precisi referenti sociali?
Guasco prova a chiarire come azionisti e qualunquisti si siano descritti negli anni ’40, come nella fase di passaggio tra fascismo e Repubblica (ma anche dopo il 1948) essi abbiano visto gli avversari e come la storiografia, dopo l’esaurimento della loro parabola, li abbia interpretati. E qui sul Pd’A emerge una questione di non facile lettura per storici, ex dirigenti e militanti. Dopo lo scioglimento del Partito, si può parlare di un azionismo politico e culturale unico e riconoscibile? Oppure è più proprio pensare a varie interpretazioni dell’azionismo da parte degli stessi azionisti, come varie erano state le anime del Partito nato dall’incontro tra liberaldemocratici milanesi, liberalsocialisti toscani e giellisti, per lo più usciti dal carcere fascista o rientrati in Italia alla fine del 1943, cioè un anno e mezzo dopo la nascita del Pd’A e all’inizio della Resistenza? Forse nel Pd’A hanno convissuto più culture politiche, tanto da generare (oltre al sogno di un radicale rinnovamento) diverse priorità programmatiche e da influenzare a fondo, durante i primi decenni della storia repubblicana, la teoria e la prassi di socialisti, socialdemocratici, repubblicani e sinistra liberale (da cui nacque il Pr).
E il qualunquismo, riflettendo in primis sui percorsi di Prezzolini e Giannini, ha prodotto un pensiero politico oppure ha fatto emergere la ciclica tendenza (si pensi anche al presente) a rifiutare l’elaborazione di un pensiero, al quale corrisponde una faticosa presa di coscienza che conduce all’assunzione di responsabilità a cui azionisti e postazionisti, invece, non si sottrassero?

Andrea Ricciardi