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L’estremo sacrificio e la violenza. Il mito politico della morte nella destra rivoluzionaria del Novecento

Francesco Germinario
Trieste, Asterios, 544 pp., € 27,30

Anno di pubblicazione: 2018

Il corposo volume ricostruisce l’importanza del mito politico della morte nella genesi della destra nazionalrivoluzionaria nella prima metà del ’900. Il libro è diviso in due parti. Nella prima, l’a. compie un lungo excursus tra gli intellettuali – Joseph de Maistre, Donoso Cortés, il conte de Gobineau, Maurice Barrès – che hanno anticipato, in chiave antiilluminista, alcuni dei temi che avrebbero segnato la polemica della destra radicale contro la società liberale: la contrapposizione tra mito, pensiero e linguaggio, il richiamo alla trascendenza in opposizione al progressismo, la battaglia contro lo storicismo, la denuncia della debolezza del legame sociale prodotto dalla modernità capitalista. La seconda parte del volume, invece, ripercorre, a partire dall’impatto che la Grande guerra ha avuto nella società contemporanea, il contributo di quegli intellettuali, come i fratelli Jünger o Ernst von Salomon in Germania, che avevano partecipato al conflitto, maturando un’originale riflessione sul culto della morte e dei caduti che si era diffuso nel dopoguerra. Il volume si chiude, infine, con un’ampia ricostruzione dei movimenti politici che avevano collocato la spettacolarizzazione della morte al centro della propria strategia politica, in particolar modo, secondo l’a., lo squadrismo fascista e la Guardia di ferro romena guidata da Corneliu Zelea Codreanu.
Il volume presenta diversi aspetti di notevole interesse, sia per quanto riguarda l’elaborazione intellettuale che per la ricostruzione dei repertori d’azione adottati dai movimenti di destra radicale nel primo dopoguerra: il funerale come rito politico, il martirologio dei caduti, la sacralizzazione della morte come premessa di un nuovo ordine. L’a., con questo contributo, si prefigge, infatti, di ripensare le religioni politiche della prima metà del ’900 oltre l’«esteriorità dei riti connessi alla sacralizzazione della politica» (p. 18).
Per quanto filtrato attraverso un serrato confronto con l’ampia storiografia esistente su questo tema, il volume manca, tuttavia, di una chiave interpretativa originale, considerando la mole di ricerche che si sono susseguite nel tempo. Piuttosto il libro offre un punto di osservazione originale sulla destra nazionalrivoluzionaria, sebbene, anche in questo caso, non del tutto inedito. In sintesi l’a. ritiene che la destra radicale europea sia stato il movimento politico più capace di conferire «senso» all’esistenza umana, proprio perché in grado di relazionarsi al problema della morte che la società capitalista aveva rimosso dal suo orizzonte. Questa «inclinazione antropologica» (p. 37), perciò, avrebbe conferito alla destra nazionalrivoluzionaria il primato politico e l’egemonia culturale. C’è da chiedersi, tuttavia, se questa prospettiva sia da sola sufficiente a comprendere le ragioni politiche della sua ascesa tra le due guerre. Così facendo, infatti, vi è il rischio di appiattirsi sull’au- torappresentazione dei movimenti di destra radicale, sottovalutando, al contempo, la loro capacità di interpretare quella modernità per tanti versi aborrita.

Guido Panvini