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L’Europa di Croce

Gaetano Calabrò
Firenze, Le Lettere, 176 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2014

L’a. espone ciò che ritiene essere il perno del sistema filosofico di Croce, l’etica, illustrando come alla sua base vi sia il rapporto tra estetica e morale, o meglio come egli tenti
di far nascere la seconda dalla prima.
L’Io dell’a. è quasi invisibile nella narrazione, lasciando spazio alle riflessioni del filosofo intorno al problema estetico dell’espressione, dell’immaginazione e dei sentimenti,
posti da Croce come elementi costitutivi e ineliminabili degli esseri umani.
Per Croce, infatti, la morale doveva essere sostenuta dalle passioni, malgrado queste
ultime costituissero un momento fondamentale e necessario ma «inferiore» – nel senso
che erano il primo passo e non un valore in se stesse – rispetto alla logica costitutiva
dell’etica. Dal momento che per Croce lo spirito europeo rappresentava la civiltà nel suo
stadio più avanzato, l’evoluzione crociana è qui giustamente presentata anche attraverso
il confronto che il filosofo ebbe su questi temi con alcuni grandi pensatori europei, come
l’amico Karl Vossler e Thomas Mann, solo per fare due esempi.
Dopo avere seguito l’evoluzione nel tempo del rapporto crociano tra estetica e morale, l’a. conclude che la storia etico-polita di Croce resta ambigua «perché egli non intraprende con la necessaria decisione la strada dell’assimilazione dialettica» (p. 93). Malgrado il giudizio critico, l’a. espone molte significative riflessioni di Croce sulla storia, alcune
delle quali – dovutamente rielaborate e personalizzate – possono costituire ancora una
preziosa fonte d’ispirazione per gli studiosi di storia.
Tra queste, merita una sottolineatura la profonda fede di Croce nel fatto che siano
gli individui il motore della storia: «Gli stati – scrive – sono quel che gli uomini, che li
compongono, continuamente li fanno, con la loro mente e col loro animo, che soli danno
senso alle forme, e anzi veramente formano le forme. Il resto […] paiono “astrazioni”,
frutto di elaborazioni intellettuali» (pp. 29-30).
Perciò, il filosofo criticava la storiografia marxista e il materialismo storico che l’ispirava. In questo caso, l’a. considera le posizioni di Croce sul marxismo negli anni ’30 venate di spirito polemico e dettate da «contrapposizione radicale». Ma si è visto sopra come la
contrapposizione nascesse in realtà da un’inconciliabile diversità di convinzioni culturali,
più che da uno spirito polemico che ne sembra piuttosto l’inevitabile conseguenza.
Infine, meritano di essere ricordate le parole con le quali Croce attribuisce valore
e senso al mestiere di storico, che per lui non solo non è in alcun modo separabile dalle
esperienze della vita, ma dovrebbe porsi come fine il continuo accrescimento della consapevolezza di noi stessi: «Noi non crediamo più […] alla felicità della vita terrena; noi non
ci crediamo più […] alla felicità di una vita oltremondana; noi non crediamo più […]
a una felicità avvenire della stirpe umana […]. Noi non crediamo più a niente di tutto
questo e ciò che solo ci resta è la coscienza di noi stessi, e il bisogno di rendercela sempre
più chiara ed evidente, bisogno, per la cui soddisfazione ci volgiamo alla scienza e all’arte»
( 132133)

Davide Grippa