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L’immagine politica. Forme del contropotere tra cinema, video e fotografia nell’Italia degli anni Settanta

Christian Uva
Milano, Mimesis, 279 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il volume analizza la produzione e l’uso delle immagini politiche nell’Italia degli anni dell’insubordinazione diffusa, ossia il lasso temporale che la vulgata definisce come
«anni Settanta» oppure, retoricamente, «lungo Sessantotto», «stagione dei movimenti» o, peggio, «anni di piombo». Se l’arco cronologico è individuabile con agilità – dal 1961 ai primi anni ’80 – l’oggetto della ricerca, l’immagine politica, ha invece i lineamenti offuscati, nonostante gli intensi chiaroscuri dell’efficace narrazione di Uva. In relazione al sostantivo, sono escluse modalità espressive nelle quali l’elemento iconico è parimenti centrale: penso ai manifesti e alla grafica, ai murales e ai graffiti, ma anche alle arti pit- toriche «tradizionali», ai fumetti e alle vignette. La consapevolezza della riduzione dello spettro analitico è esplicitata fin dal principio – ci si occupa, come precisato fin dal sotto- titolo, di immagini «cinematografiche, elettroniche e fotografiche» (p. 9) – ma le ragioni di tale scelta non sono ben spiegate. La supposizione è che, nel senso comune diffuso, gli ambiti esclusi siano considerati – pittura a parte – «figli di un dio minore», sprovvisti o quasi di autori con la a maiuscola. A proposito dell’aggettivo, l’a. spiega come gli oggetti studiati «abbiano a che fare con la politica nella sua natura di orizzonte concernente» la configurazione dei rapporti di potere nella sfera pubblica, tra «i due grandi momenti di “antagonismo” rappresentati dal ’68 e dal ’77» (pp. 9-10). L’analisi si muove, dunque, sul
«terreno del contropotere» (p. 10).
Il libro è articolato in tre parti distinte: il cinema, il video e la fotografia. Dopo aver compiuto un excursus sul dibattito relativo alla categoria di «cinema politico» (ossia le pel- licole che si collocavano – per contenuti e/o forma – in modo critico verso l’esistente), la prima parte rende edotto il lettore su autori e produzione di cinema «militante» e «d’azio- ne» tra il pre-Sessantotto, il 1968-1969, la stagione dei «gruppi» (tra i quali spiccavano Servire il popolo, Lotta Continua e il Collettivo di cinema femminista) e il «riflusso» della conflittualità sociale e politica, senza tralasciare la produzione dedicata alla «controinfor- mazione» e all’«antifascismo militante».
La parte dedicata al video prende le mosse dalla pratica della guerrilla television im- portata dagli Usa da Roberto Faenza (cfr. il volume Senza chiedere permesso, 1973) e dalla conseguente quanto ingenua esaltazione del video-tape come strumento di liberazione e democratizzazione, per poi affrontare il nodo del Settantasette, l’esperienza del Collettivo Videobase di Anna Lajolo, Guido Lombardi e Alfredo Leonardi e, infine, l’originale e per certi versi controversa produzione di Alberto Grifi.
Nella terza parte, la più eterogenea, si affrontano genesi e sviluppi del dibattito sulla
«fotografia eversiva», il progressivo slittamento dalla foto militante alla foto militare (in cui «l’uomo che spara» diviene un’icona – se non l’icona – degli anni conflittuali), il lin- guaggio fotografico delle Brigate rosse e l’epica dell’attivismo politico attraverso gli scatti di Tano D’Amico.

Eros Francescangeli