Anno di pubblicazione: 2005
Com’è noto, esiste in Italia una certa diffidenza nei confronti della biografia, spessa considerata un ?sottogenere? storiografico. Anche in anni recenti, il genere biografico è stato coltivato soprattutto al livello della microstoria, come punto d’intersezione tra una vicenda umana personale e quella di una classe sociale o di un genere, mentre per i protagonisti della politica, dell’economia, della vita culturale del nostro secolo a tenere il campo sono sempre soprattutto i giornalisti. Così per le personalità di rilievo della storia repubblicana i vuoti da colmare restano ancora molti e clamorosi.
Nella storiografia sul Partito comunista italiano, una delle forze politiche al centro di questa storia, l’assenza di profili biografici di molti dei protagonisti spicca con particolare evidenza. Certo, Gramsci, Togliatti e di recente Di Vittorio, Giorgio Amendola e Berlinguer hanno avuto le loro biografie di solido impianto scientifico; ma molte personalità di grande rilievo attendono ancora che si scriva della loro vita: tra queste, per non menzionare che le più importanti, Luigi Longo, Pietro Secchia, Giancarlo Pajetta. Quanto a Umberto Terracini, dalla sua morte, nel dicembre 1983, è stato confinato a lungo nel pantheon dei ?padri della Repubblica? senza alcun vero approfondimento del suo ruolo, mentre il PCI postberlingueriano deponeva solo con relativa lentezza quel misto di rispettosa diffidenza e di benevola sufficienza che aveva accompagnato la sua attività politica in vita. Solo negli ultimi anni la sua figura è stata sempre più riscoperta, specie con la pubblicazione dei tre volumi dei suoi discorsi parlamentari nel 1995 e poi con il convegno di studi tenutosi nel giugno 1997 a Torino, di cui, con il titolo La coerenza della ragione, furono pubblicati l’anno dopo gli atti.
A lui dedica ora una biografia asciutta e ben scritta Renzo Gianotti, che non è uno storico di professione: è stato segretario della federazione torinese del PCI negli anni ’70 e poi senatore per più legislature. Di storia però ha scritto più volte, in particolare sulla Fiat e sull’ottobre ungherese, fornendo sempre contributi onesti e informati. Il suo nuovo libro non ha la pretesa di fondarsi su documenti di prima mano (salvo che per una parte dell’archivio dell’ex presidente della Costituente, conservata ad Acqui Terme). Nell’introduzione l’autore motiva in modo quanto meno curioso la sua scelta di trascurare gli archivi di partito: ?lo scioglimento del PCI ha relegato esperienze e personalità comuniste nell’armadio delle cose smesse, talvolta riesposte al solo scopo di mostrarne l’apparentamento, plausibile o forzato, con qualche obbrobrio del ?secolo breve’?. Al che verrebbe da chiedersi perché abbia dedicato 287 pagine a scrivere di un uomo simbolo del comunismo italiano. Ma sarebbe ingiusto non riconoscere che il suo profilo biografico di Terracini è scorrevole e capace di mettere a fuoco i momenti principali di un itinerario politico straordinariamente lungo: senza apportare conoscenze nuove, ma risistemando il già noto con ordine e intelligenza. Una traccia, dunque, certamente non inutile, per un lavoro di più lunga lena e più ampio respiro.