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Luca La Rovere – L’eredità del fascismo. Gli intellettuali, i giovani e la transizione al postfascismo 1943-1948 – 2008

Luca La Rovere
Torino, Bollati Boringhieri, 377 pp., euro 30,00

Anno di pubblicazione: 2008

A cinque anni dalla Storia dei Guf, La Rovere reincontra personaggi e problemi ? i giovani, come esser (stati) giovani, come trattare i virgulti del fascismo ? su un terreno meno battuto. Libro di ricerca minuta, va letto su questo piano, il rapporto coi testi ? giornali e micropubblicistica dispersa ? di attori generazionali noti e ignoti, incerti se, come, perché e in quale direzione diventare degli ex, in uno spazio concentratissimo di tempo, più il ’45 che il ’46, e più il ’46 che il ’47. Fino al ’48, quando i giochi sono fatti e ciascuno si è dato una identità politica, plasmando il rapporto con il passato ? privato e pubblico ? e raccontandosi che cosa è stato il fascismo in funzione di questa ritrovata collocazione. Per apprezzare questa ragguardevole fatica analitica, conviene condonare all’a. le prime 23 pagine: un imbarazzante regolamento di conti con la storiografia, propenso a premiare quella nata alla Sapienza e a Roma Tre. C’è molta Roma anche nei testi e nei personaggi-testimoni, Roma concentrato di occasioni, luogo della politica, mercato del lavoro culturale a ridosso della politica. Gran parte dei personaggi sono «nati» nei giornali dei Guf e nei Littoriali; e rinascono cercando di riciclarsi nei giornali, in una sorta di «guerra per bande». Distinguiamo nomi di prossimi redattori dell’«Unità» e dell’«Avanti!», del «Messaggero» e del «Corriere». Sono pezzi di ceto politico, che il fascismo stava formando per sé, intellettuali militanti e funzionari; di chi saranno, dopo il ’43, dopo il ’45? La Rovere non indulge alle categorie del trasformismo e dell’opportunismo. Coerentemente agli intrecci attuali fra privato e pubblico, rileva nei percorsi personali di fuoruscita dal fascismo traiettorie di incontro fra i bisogni dei singoli e quelli del «post-fascismo». In un «pieno» politico fattosi repentinamente «vuoto», tutti ricominciano. L’esplorazione si mostra proficua sulle carte dei cattolici, anche di giovani come Moro e Andreotti. Ma anche sui rovelli del prossimo liberale Vittorio Zincone; del socialista riformista Alfassio Grimaldi; dell’ambivalente Alberto Giovannini, fra i tentati dal rosso e dal nero. Non era socialismo il fascismo? E sul Pci, accorto nel predisporre reti di accoglienza. Si additano Davide Lajolo, Fidia Gambetti come interpreti del fascista redento, la prova che la propria vita non è finita con l’esaurirsi di ciò che si è creduto vero. Anche Vittorini offre patenti di «antifascismo oggettivo» ai molti giovani che gli scrivono; e a cui lui, l’ex fascista, parla con una affidabilità che la generazione compromessa non riconosce ai troppo severi e giudicanti ? non tutti ? antifascisti da sempre. Un regista è Togliatti, ma non sempre si tira dietro i suoi: «Rinascita» difende Zangrandi, l’«Unità» lo attacca. I processi che La Rovere ricostruisce sono complessi e ? coi testi ? egli sa essere sfumato. Ne esce un’Italia del ’45, che fa i conti con il fascismo, più della Germania con il nazismo. Certo, è «una memoria ?necessariamente? manipolata» (p. 357), si muove per occasioni e per gruppi, tastando il terreno, seleziona il passato per riposizionarsi nel presente. Non si sta parlando di storia.

Mario Isnenghi