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Luisa Passerini – L’Europa e l’amore – 1999

Luisa Passerini
il Saggiatore, Milano

Anno di pubblicazione: 1999

Coerente con le premesse di metodo e le prime verifiche esposte in lavori come Storia e soggettività e Autoritratto di gruppo, Luisa Passerini segue, in questo volume, un cammino dichiaratamente soggettivo, che la porta a cercare in un passato prossimo per molti versi, lontano per altri, una genealogia dei problemi che oggi sono al centro della sua riflessione: la storia dei sentimenti da un lato, l’identità europea dall’altro (oggetto quest’ultima di una densa raccolta di saggi curata dalla stessa Passerini).
È una ricerca genealogica che riporta alla mente la metafora dell’ultimo Kracauer che vuole lo storico sempre “esule”, intento a vivere in un mondo (temporale, non spaziale) altro ma portando sempre con sé un forte attaccamento al mondo a cui più sente di appartenere. Forse non è un caso che tanti dei soggetti da lei incontrati siano a loro volta esuli, per scelta o per necessità, intenti ad ambientarsi in un mondo disorientato e disorientante attraverso la ricerca di nuove radici. Al centro del libro è un mondo che ci appare per tanti versi estraneo, quello dei piccoli gruppi attivi nell’Europa (prevalentemente nel più “insulare” paese europeo, il Regno Unito) degli anni Trenta e impegnati nella riflessione su una cittadinanza europea e sulle sue basi non solo e non tanto politiche quanto personali, affettive e spirituale.
Colpisce, nella ricerca, la scoperta di fili nascosti che legano personaggi e scuole di pensiero ritenuti sempre lontanissimi tra loro, dal cattolicesimo britannico conservatore in politica e innovatore in letteratura a filoni di marxismo critico, fino allo spiritualismo dei seguaci di Gurdijeff che rivisto da fine secolo presenta curiosi e a volte inquietanti tratti new age. E colpisce la determinazione di Passerini nel non pretendere mai una reductio ad unum del suo abbondante materiale: mentre la memoria tende con l’allontanarsi del tempo a semplificare, la genealogia andando a ritroso si ramifica, e rifiuta di dimenticare le morti premature e i matrimoni sterili, fuor di metafora le vie intraprese e abbandonate, gli incontri promettenti ma senza conseguenze.
Gli oggetti della ricerca, i gruppi spesso del tutto dimenticati di europeisti nell’Inghilterra dell’impero e nell’Europa delle due guerre, sono scelti non certo per la loro importanza oggettiva e neppure con un impossibile criterio di rappresentatività, ma per le connessioni che aprono, perché vi si ritrovano in germe sensibilità che solo successivamente sarebbero diventate (se lo sono diventate) oggetto di elaborazione propriamente teorica. Questa scelta è indubbiamente una delle suggestioni del libro, ma forse anche un limite autoimposto fin troppo pesante: la rinuncia a chiamare in causa, se non del tutto indirettamente, autori come Chesterton o Eliot, o eventi storici chiave del tempo come lo sciopero generale inglese del ’26, non era inevitabile. E non lo è per le future ricerche di Luisa Passerini, che allargheranno la sua e la nostra ricerca degli antenati ad altri paesi europei.

Peppino Ortoleva