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Lynn Hunt – La storia culturale nell’età globale – 2010

Lynn Hunt
Pisa, Ets, 133 pp., Euro 13,00

Anno di pubblicazione: 2010

Questo piccolo libro di una studiosa molto conosciuta parla dell’esperienza storiografica più radicale, influente ed egemonica del ‘900, quella che ha inteso mettere sotto pressione niente di meno che il marxismo, le teorie della modernizzazione, la scuola delle «Annales» e – cosa ancor più straordinaria nel contesto intellettuale nordamericano – gli studi sulle «politiche identitarie».Ambiziosissima e ben intrecciata con il postmodernismo alla Foucault e Derrida, la storia culturale ha portato in primo piano – attribuendo loro un ruolo trasformativo primario – i linguaggi, i rituali, i simboli. «Era la cultura a dare forma a classe e politica, anziché il contrario», scrive Lynn Hunt della Rivoluzione francese. Un drastico rovesciamento delle gerarchie che avrebbe affascinato intere generazioni di storici e altri ne avrebbe lasciati perplessi e talvolta più che perplessi. Come John Toews, che già nel 1987 aveva preso di mira «la hybris dei fabbricanti di parole che pretendono di essere fabbricanti di realtà». O come Stephen Haber, che nel 1999 rilevava l’irrisolta ambiguità postmoderna «sull’esistenza di fatti oggettivi».Nel frattempo, sull’onda dei fenomeni tecnologici, finanziari, geopolitici e demografici di fine ‘900-inizio millennio, è esplosa la categoria di globalizzazione. E da essa hanno preso spunto non pochi storici: naturalmente, gli storici economici più che culturali e la macrostoria più che la microstoria. Il che sembra a Lynn Hunt di buon auspicio, perché promette di «provincializzare l’Europa» e perché depotenzia la tendenza degli studiosi occidentali a restare nei confini territoriali e concettuali dello Stato-nazione. Ma sembra anche, alla stessa Hunt, una sfida tra le più insidiose: «la storia culturale – si chiede – sarà spazzata via dalla marea montante dell’interesse per la globalizzazione?» (p. 47). E le sue stesse risposte dimostrano quanto la strada sia diventata impervia. Alla centralità dei processi economici, la Hunt replica con lo «studio della costruzione culturale del capitalismo». Alla categoria strutturale di sistema-mondo, con la sottolineatura di fenomeni che, come le religioni, hanno anch’essi sconfinate dimensioni temporali e spaziali. E così via. Ma l’impressione è che la storia culturale sia comunque costretta a giocare di rimessa.Domande consapevolmente difficili e risposte significativamente caute si inseguono, nelle pagine conclusive del libro, prendendo qualche distanza anche dal maestro Foucault. E il punto centrale – amplificato dalla scala assunta oggi dai fenomeni sociali – è sempre lo stesso: il significato dei significati, per così dire. Ovvero se e come essi riflettano oppure determinino la realtà, quali rapporti esistano tra esperienza individuale e conoscenza collettiva, se e cosa vi sia al di qua del pensiero, se sia dato parlare di storicità della mente. Rileva la Hunt, sulla scorta di Geertz: «Le risorse culturali forniscono strumenti essenziali al pensiero, ma dietro al pensiero c’è ancora la pensatrice che usa quegli strumenti per i propri fini, in continua evoluzione» (p. 118). E al lettore non affiliato resta il dubbio che si tratti di un’operazione intellettuale degna dell’utopia e sfibrata dall’astrattezza.

Paolo Macry