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Magistratura e società nell’Italia repubblicana

Edmondo Bruti Liberati
Roma-Bari, Laterza, 350 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2018

In poche centinaia di pagine, scritte in modo chiaro, l’a. ricostruisce una storia dei rapporti tra la magistratura e la società italiana a partire dalla seconda guerra mondiale fino ai primi anni del nuovo secolo. Già importante magistrato ed esponente di spicco dell’associazionismo dei giudici (sia dell’Associazione nazionale magistrati, di cui è stato presidente dal 2002 al 2006, che della corrente Magistratura democratica, oltre che membro del Csm dal 1981 al 1986), l’a. ha deciso di riordinare un suo personale archivio, composto da appunti e ritagli di giornali, e di pubblicare questa testimonianza, ricca e densa di questioni. Ne viene fuori un vivido racconto che descrive i meccanismi di funzionamento all’interno dell’ordine giudiziario, così come i rapporti con gli altri organi dello Stato. Per scelta non ci si sofferma quasi mai sugli avvocati e nemmeno sulle altre magistrature (Corte dei conti, Consiglio di Stato).
I sette capitoli seguono un andamento cronologico e coprono in maniera omogenea i vari decenni: si inizia con la «rivoluzione» della Costituzione (pp. 3-52), l’arrivo della Consulta e del Csm e i cambiamenti degli anni ’60 come l’ingresso delle donne e la formazione delle correnti (pp. 53-108), gli anni ’70 (pp. 109-170) e gli anni ’80 (pp. 171- 240), Mani pulite (pp. 241-285); gli ultimi due, dalla «discesa in campo» di Berlusconi alla «riforma epocale» del 2004, sono più agili e brevi (pp. 286-330). In realtà, nel corso del libro, sono presenti riferimenti alla cronaca degli anni successivi, fino ad arrivare a eventi del 2018, così da evidenziare che alcuni temi si rincorrono da decenni, a partire dal complicato rapporto con la politica: ad esempio, sulla responsabilità civile dei magistrati (a seguito del referendum del 1987 e della legge del 1988) si ricorda anche la legge che ha riformato quella del 1988, approvata di recente dal governo Renzi nel 2015 (p. 209). E nelle Conclusioni l’a. mette in guardia gli ex colleghi dal rischio di chiusure corporative e di autoreferenzialità e sul problema del populismo giudiziario che «può esser devastante» (pp. 331-334).
Sulle fonti, oltre alle riviste espressione della sua corrente – «Quale giustizia», «Politica del diritto», «Questione giustizia» – l’a. utilizza quotidiani e periodici, la documentazione prodotta dal Csm e le sentenze di vari uffici giudiziari, comprese talvolta quelle di corti europee e internazionali: numerosi i libri citati di giornalisti, politici e colleghi (meno frequenti quelli degli storici) mentre non sono impiegate le fonti d’archivio.
Contrariamente da quello che potrebbe far pensare la carriera dell’a., nel testo non ci sono solo Milano e Roma, ma si ricordano diverse località della penisola, e i principali eventi con l’eccezione dell’assenza di riferimenti ai fatti di Genova 2001.
Infine, una notazione sul lessico: la parola «verità» ricorre una quindicina di volte in altrettante citazioni, e solo una volta nelle frasi dell’a.: non averla usata, per scelta o meno, è un merito non secondario della ricostruzione dei difficili rapporti tra magistrati e politici nella società italiana.

Giovanni Focardi