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Malacarne. Donne e manicomio nell’Italia fascista

Annacarla Valeriano
Roma, Donzelli, XII-218 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2017

L’a. torna ad esplorare le carte manicomiali del Sant’Antonio Abate di Teramo, già
oggetto di precedenti indagini. Focalizzando l’attenzione sulle soggettività femminili turbate
e circoscrivendo l’arco temporale al ventennio, la ricerca si propone due obiettivi:
restituire un volto e una voce a donne che sembrano non averne avuti; raccontare come
la società ha saputo avvalersi dell’esclusione asilare per fronteggiare le proprie insicurezze
innescate dal contatto con l’altro (pp. X-XI).
Sulla scorta di una casistica originale, il volume corrobora i risultati prospettati dalla
storiografia in materia, meglio chiarendo le traiettorie di prassi manicomiali spiccatamente
punitive, intenzionalmente pedagogico-disciplinari, rigidamente normative e intrise di
mentalità patriarcale.
Con chiarezza l’a. sottolinea sia le continuità lessicali e concettuali di lungo periodo
che culturalmente informano le politiche assistenziali in un’Italia intenta ad autoedificarsi
come nazione, sia le inedite ripercussioni psichiatriche inerenti l’affermazione di un modello
escludente di femminilità – caro al regime – votato a formare a maggior gloria dello
Stato il tipo di donna madre e di casa (p. 13).
Mentre lo scenario di estremo pauperismo che devasta le biografie sofferenti è rimosso
dallo sguardo medico, la progressiva centralità che riscontrano nelle cartelle cliniche
alcuni temi – la pazzia morale, l’infanticidio e il tradimento degli obblighi materni (un
compito di Stato, p. 77 e p. 127), il contrasto verso il predominio familiare di padri mariti
e fratelli, la denuncia dello psichiatra maschio di sessualità femminili improprie, ecc. –
costituisce la spia del graduale potenziamento delle funzioni repressive del manicomio,
spazio dove non è infrequente assistere alla medicalizzazione del dissenso e delle condotte
disordinate (p. 56) sottrattesi ai disegni morali e biologici dell’eugenismo fascista.
Spalleggiato dai dettami della cultura cattolica più reazionaria e coadiuvato dalle
revisioni codicistiche targate Rocco, il governo mussoliniano finisce così per individuare
nell’assistenza psichiatrica lo strumento utile per promuovere una «bonifica della femminilità
» (p. 96) che non ne risparmia i frutti degeneri: le esistenze sconvolte di un’infanzia
dolorante e al pari segregata (p. 100).
Dopo un’incursione nella dimensione di sciagura (p. 139) determinata dalle vicende
di un anno bellico capace, tra settembre 1943 e giugno 1944, di segnare drammaticamente
la quotidianità dei civili abruzzesi, la ricerca si conclude con una significativa antologia
di lettere delle ricoverate.
Pur condividendo la legittima empatia riservata alle vittime dall’a., l’opera – magistralmente
scritta – mi sembra sollevare qualche perplessità laddove eccede in una sorta di
idealizzazione protofemminista delle esistenze malate (per esempio a p. 124), alimentando
una contro-narrazione ribellistica i cui contenuti sono, probabilmente, più nei nostri
occhi di oggi che non nelle menti e nei corpi straziati delle sventurate pazze di ieri.

Andrea Scartabellati