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Maria Mignini – Diventare storiche dell’arte. Una storia di formazione e professionalizzazione in Italia e in Francia (1900-40) – 2009

Maria Mignini
Roma, Carocci, 416 pp., euro 37,50

Anno di pubblicazione: 2009

Nuovo tassello nella crescente bibliografia di genere, il volume mette a fuoco i decenni cruciali per la definizione della disciplina e della professione di storico dell’arte, in due realtà nazionali diverse ma accomunate dall’aumento della presenza femminile – e di cui la Grande guerra è punto di non ritorno – complice la «sensibilizzazione all’arte, potremmo dire intrinseca, al percorso formativo femminile» (p. 225).Il libro, fondato sulla consultazione di diversi fondi archivistici con una documentazione in parte lacunosa e disomogenea che l’a. fa convergere in quadri coerenti, si presenta rigidamente bipartito dallo spartiacque alpino, chiuso dall’appendice documentaria (con utili quadri analitici e comparativi su numeri e profili delle storiche dell’arte) e da una nutrita bibliografia. In Francia l’appartenenza dell’Ecole du Louvre all’organizzazione museale garantisce un travaso costante dalla prima alla seconda, e quindi assicura sbocchi professionali alle allieve, seppure a titolo gratuito. Al contrario, in Italia, la frequenza del Perfezionamento in Storia dell’arte, fondato da Adolfo Venturi nell’Ateneo romano all’inizio del secolo, è più raramente coronata dall’inserimento nell’amministrazione delle belle arti, almeno fino al concorso del 1927.I due paesi si trovano a parti invertite, invece, per quanto riguarda l’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole. Lo studio di Mignini, infatti, ha il merito di collocare le vicende di un numero esiguo di donne che ha «l’ardire» di proseguire gli studi oltre la laurea, sullo sfondo dell’assetto dell’istruzione pubblica, in una fase di sostanziale trasformazione. Basti pensare alla riforma Gentile che, con l’introduzione della Storia dell’arte nel liceo classico e in quello femminile, garantisce visibilità alla giovane disciplina e, contemporaneamente, permette – pur fra ostilità e discriminazioni radicate – alle neo-perfezionate un inserimento lavorativo di non poca soddisfazione e, in seguito, la redazione dei manuali scolastici. Una situazione neanche lontanamente paragonabile alla rapida epifania di tale materia nella scuola francese (1925-38).Nel tralasciare dichiaratamente l’impegno delle donne nella critica d’arte militante e nel collezionismo, il testo sembra obbligato, da un lato, a ribadire la desolante misoginia della cultura dei due paesi latini, che destinano alle donne una formazione «diminuita» e una crescente marginalizzazione lavorativa, complice la crisi economica fra le due guerre; e dall’altro, a confermare la solitudine del magistero venturiano che nel sostenere le allieve permette loro – dato meno noto – di accedere alle rare pubblicazioni scientifiche (le riviste e la Storia dell’arte italiana) e di prendere parte a progetti divulgativi come le guide dei musei e le voci dell’Enciclopedia Italiana, negli anni ’30. Ruoli di mediatrici culturali in parte equiparabili a quelli assunti nei corsi e nelle conferenze sul patrimonio, promossi dalle istituzioni conservative francesi, a cui le donne accedono non più solo come pubblico.

Francesca Gallo