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Maria Zalambani – Censura, istituzioni e politica letteraria in URSS (1964-1985) – 2009

Maria Zalambani
Firenze, Firenze University Press, 281 pp., Euro 29,90

Anno di pubblicazione: 2009

Dal 1922 alla dissoluzione dell’Urss, nel 1991, la censura letteraria ha rappresentato una potente arma di repressione del pensiero non-conformista e della creazione dello spirito pubblico sovietico. Dapprima attività essenzialmente repressiva, che interveniva amministrativamente sui lavori letterari prodotti nel paese e su quelli importati dall’estero, dopo la morte di Stalin ha conosciuto alcuni momenti di allentamento ma, soprattutto, si è espressa in pratiche non solo amministrative e poliziesche ma anche in più complesse forme di influenza a monte della produzione dell’opera letteraria, acquisendo un carattere prevalentemente profilattico. Se fino alla data dalla quale muove la ricostruzione storica dell’a. il campo era tenuto essenzialmente dall’apparato del cosiddetto Glavlit e dalla polizia politica, nelle sue successive incarnazioni (dalla Ceka al Kgb), all’epoca della stagnazione brezhneviana e sotto la direzione di Jurij Andropov la censura ha agito anche attraverso potenti canali di intimidazione, di intima corruzione e di ricatto quali le società professionali degli scrittori e le redazioni dei giornali e delle case editrici. Nello stesso periodo, il potere statale e il Partito comunista si sono prodotti anche in un impressionante sforzo di ispirazione agli scrittori del giusto canone estetico (che dal 1934 era, come è noto, il «realismo socialista»). Questa tappa suprema della formazione dell’ambiente letterario sovietico giunse a configurarsi in un mastodontico meccanismo sociale, che faceva affidamento anche sulla conquista dello scrittore ai temi e ai moduli espressivi desiderati dalle autorità in modo, per quanto possibile, incruento ma non per questo meno pervasivo. Il libro fornisce diversi esempi del modo in cui i censori (quasi sempre, personale qualificato e specializzato in diversi campi della cultura) correggevano i testi che passavano per le loro mani e degli effetti che essi cercavano, così, di indurre nei lettori. Certo, contro gli scrittori del Dissenso, che ricorrevano alla pubblicazione clandestina dei propri lavori (il samizdat), l’opera di pressione era più cruda e violenta: anche se pure qui, da un certo momento in poi, si cercò di ricorrere all’espulsione degli artisti indesiderati dal paese, piuttosto che alla loro reclusione. Ma prima di giungere a misure estreme, i censori e la polizia cercavano di porre in guardia gli interessati dall’intraprendere iniziative proibite dalle regole preposte alla vita culturale del regime Maria Zalambani si è valsa di un ampio repertorio documentario e di studi in proposito, archivistico e memorialistico, nonché delle proprie ricerche sul campo, dando un’idea efficace della forza e della flessibilità di questo cruciale aspetto del totalitarismo sovietico. L’azione censoria si diluì in modo sostanziale nel 1985, per essere pressoché annullata tra il 1987 e il 1991. Destano, tuttavia, qualche inquietudine gli accenni finali del volume alla possibilità che un qualche ricordo istituzionale della sua originaria funzione possa essere sopravvissuto nella Russia attuale all’interno del Fsb, preposto alla sicurezza interna.

Francesco Benvenuti