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Mario Da Passano (a cura di) – Le colonie penali nell’Europa dell’Ottocento, introduzione di Guido Neppi Modona – 2004

Mario Da Passano (a cura di)
Roma, Carocci, pp. 304, euro 24,10

Anno di pubblicazione: 2004

Si tratta degli atti di un convegno internazionale organizzato dal Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari e dal Parco nazionale dell’Asinara nel maggio 2001. Ed in effetti la dimensione della comparazione internazionale è ampiamente assicurata da una serie di contributi che tematizzano il caso francese (Jacques-Guy Petit e Eric Pierre), tedesco (Hans Schlosser), belga (M. Silvie Dupont-Bouchat), oltre che dalla concisa ma succosa riflessione semantica dello storico del diritto spagnolo Carlos Petit a proposito del lemma ?colonia?.
Tuttavia, nell’economia generale del volume risulta nettamente prevalente la sezione riservata all’Italia, che si avvale di approfonditi studi di prima mano dedicati rispettivamente alla colonia penale delle Tre Fontane, alle porte di Roma (Monica Calzolari e Mario Da Passano), a quelle sarde, e specialmente all’Asinara (Franca Mele), infine alle colonie coatte, ovvero ai luoghi di lavoro in stato detentivo nei quali venivano inviati coloro che erano sottoposti alla misura di pubblica sicurezza del domicilio coatto nel Regno d’Italia (Daniela Fozzi). Completano l’opera una introduzione di Guido Neppi Modona e una riflessione preliminare di Anna Capelli, dedicata a fonti e metodi della storia penitenziaria.
Ci si muove spesso, da un saggio all’altro, tra scenari esotici: le colonie penali francesi nella Guyana e nella Nuova Caledonia, quelle tedesche in Africa, a partire dal 1884; al largo della Sardegna, la stessa Asinara, ?bella e triste? secondo la definizione di Petit.
La loro prossimità alla natura dovrebbe rigenerare moralmente ? auspice la disciplina del lavoro agricolo ? l’umanità delle carceri alla quale la colonia penale viene talvolta offerta, in segno di riconoscimento di una buona condotta penitenziaria, come alternativa alla detenzione ordinaria. Ma in realtà si tratta di istituzioni correttive dove si muore facilmente, tanto a causa della crudezza delle condizioni di lavoro quanto in conseguenza della precaria salubrità ambientale. Chi le organizza (talvolta i privati, oltre allo Stato) mira, del resto, soprattutto a ricavare un qualche utile economico, misurabile se non altro sotto il profilo dell’abbattimento dei costi di gestione rispetto a quelli del carcere ordinario. Vi si misura, insomma, come del resto in quest’ultimo, lo scarto profondo tra le pretese rieducative caratteristiche della pedagogia liberale ottocentesca e la natura brutalmente vessatoria dei contesti materiali nei quali esse vengono concretamente messe alla prova.
Molto suggestivo è l’inserto fotografico, che documenta le condizioni del lavoro in colonia.

Marco Meriggi