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Marxismo e filosofia della praxis. Da Labriola a Gramsci

Marcello Mustè
Roma, Viella, 329 pp., € 29,00

Anno di pubblicazione: 2018

L’a. ricostruisce genealogia e influenza della filosofia della praxis nel dibattito sul
marxismo in Italia tra la fine dell’800 e gli anni ’30 del ’900, valorizzando le inferenze
reciproche tra il marxismo italiano e altre correnti filosofiche, l’idealismo in primo luogo
e l’attualismo. Le origini della filosofia della praxis sono nel pensiero di Antonio Labriola.
La praxis è il progresso storico, la sua filosofia antimetafisica contesta la separazione tra
pensiero e materia, ma si differenzia anche dal marxismo della Seconda internazionale che
aveva ridotto il divenire storico a epifenomeno di dinamiche sociali.
Definite le origini della filosofia della praxis, è affrontata la recezione dell’ipotesi
labrioliana in Croce e Gentile. Le loro obiezioni a Labriola sono note: per Croce il marxismo
è una metodologia d’indagine storica ma non una filosofia; Gentile ritiene che il marxismo
sia una filosofia, ma vada rovesciata poiché si fonda sul presupposto erroneo di un
rapporto circolare tra storia e pensiero. L’a. individua però quanto la filosofia della praxis
influenzi entrambi: Croce per il ruolo attribuito alla volizione economica (p. 97) «miccia
inaugurale» senza la quale «tutto il castello dello spirito sarebbe saltato in aria»; Gentile
per i suoi ultimi scritti, nei quali il sentimento è recuperato come humus dello Stato e del
pensiero, in contraddizione con l’idea della autoctisi dello spirito. L’a. rintraccia i lasciti
della filosofia della praxis nell’idealismo e nell’attualismo per poi individuare come queste
tendenze contribuiscano alla specificità del marxismo italiano.
Il sentiero di Labriola è ripreso da Mondolfo e Gramsci. Entrambi recuperano l’idea
che la filosofia della praxis implichi il rovesciamento tra storia e pensiero rispetto al determinismo
materialista: il pensiero (momento soggettivo) emerge dalla materia (momento
oggettivo) ma per intervenire su di essa. È ricostruito come, pur da una genealogia comune,
Mondolfo e Gramsci giungano a esiti radicalmente diversi. Lo scarto è attribuito
al momento machiavelliano della politica. Centrale per Gramsci, è assente in Mondolfo,
concorrendo almeno a una incoerenza del suo pensiero: Mondolfo esalta il ruolo delle
intenzionalità soggettive nella storia, ma condanna la Rivoluzione bolscevica come un
atto di volizione inconsulta rispetto a condizioni oggettive che la rendevano impossibile.
È quindi Gramsci a condurre la categoria di Labriola alle conseguenze più coerenti
sui terreni interdipendenti della teoria (la definizione di una nuova filosofia marxista
attraverso la mediazione con l’idealismo) e dell’azione politica (una nuova concezione
di rivoluzione e un soggetto politico coerente con questo scopo). La revisione è tale da
giungere a un neomarxismo. L’a. ne coglie l’esito nel concetto di egemonia civile, ricavato
dal confronto con Hegel, Croce, Gioberti e Lenin, e in una idea della rivoluzione come
guerra di posizione diversa da quella bolscevica perché configura un atto permanente così come è permanente nel pensiero di Gramsci la dialettica tra struttura e sovrastruttura.

Gregorio Sorgonà