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Matteo Baragli – Tracce di un popolo dimenticato. Famiglie di pigionali e braccianti agricoli nella Toscana fascista (1922-1939) – 2006

Matteo Baragli
Prefazione di Paul Ginsborg, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 398 pp., euro 2

Anno di pubblicazione: 2006

Rielaborazione di una tesi di laurea, questo volume presenta i risultati di un’accurata ricerca e offre così un utile contributo alla storia dell’agricoltura italiana che, dopo l’intensa produzione dei primi anni Novanta, sembra essere passata ad una fase di minore vivacità. L’indagine compiuta da Baragli si fonda su un insieme di fonti di diversa natura: le pubblicazioni dell’Istituto nazionale di Economia Agraria e dell’Accademia dei Georgofili, i censimenti e i resoconti delle visite pastorali, gli articoli apparsi su giornali e riviste, la memorialistica e le fonti orali. La composizione critica di questa variegata documentazione ? supportata dall’esaustiva conoscenza della storiografia ? consente all’autore di restituire un’immagine a tutto tondo dei pigionali toscani, e di mettere nello stesso tempo in evidenza l’eterogeneità di questa categoria.Il termine «pigionale», infatti, sta a indicare semplicemente colui che non possiede la casa nella quale vive ed è dunque costretto a pagare la pigione, ma tende ad essere utilizzato per riferirsi a tutti coloro che non sono mezzadri, poiché questi ricevono l’abitazione insieme alle terre che coltivano, senza versare una quota di affitto. I pigionali vengono così a definirsi per differenza rispetto ai lavoratori agricoli considerati tipici della campagna toscana, e corrispondono concretamente a profili assai diversi fra loro: obbligati a lavorare come avventizi per mantenere la famiglia, talvolta possiedono un piccolo campicello, a volte lo affittano, in altri casi ancora si dedicano saltuariamente anche a mestieri extra-agricoli. Figure ibride di quella «popolazione marginale costituita in agricoltura dai contadini senza terra» (p. 43), i pigionali finiscono per essere associati non soltanto alla miseria, ma anche al degrado morale.Baragli conduce quindi la sua indagine su due fronti. Da un lato ricostruisce le attività di uomini e donne di questo «popolo dimenticato», segue le tracce delle migrazioni locali, esamina i bilanci familiari, ricollega le singole dinamiche al contesto socio-economico che caratterizza il mondo rurale negli anni tra le due guerre. Dall’altro decostruisce l’immagine stereotipata dei pigionali fannulloni e dissoluti, ripercorrendola peraltro nelle sue declinazioni di genere: gli uomini ubriaconi e teste calde, le donne poco devote e inclini ai facili costumi. Di particolare interesse, in questa prospettiva, anche le pagine dedicate all’infanzia, nelle quali si offre un’analisi articolata dei lavori domestici, agricoli ed extra-agricoli a cui sono chiamati bambini e bambine, per esempio in qualità di garzoni. Ma nello stesso tempo l’autore sottolinea gli spazi di libertà di un’infanzia che non è così rigidamente piegata alle gerarchie patriarcali o all’ossequio nei confronti del padrone, come nel caso delle famiglie mezzadrili, e dunque può godere di piccole trasgressioni, per esempio le scorribande in giro per le campagne.

Silvia Salvatici