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Matteo Mazzoni – Livorno all’ombra del fascio – 2009

Matteo Mazzoni
Firenze, Leo S. Olschki, XVIII-266 pp., euro 19,00

Anno di pubblicazione: 2009

Il lavoro di Matteo Mazzoni, dedicato a Livorno negli anni del regime fascista, si inserisce nel recente filone di nuovi studi sul «fascismo in provincia» apertosi oramai da alcuni anni.Al centro della analisi del giovane studioso toscano, iniziata con il dottorato di ricerca in Studi storici dell’età moderna e contemporanea conseguito presso l’Università di Firenze, si stagliano «le lotte politiche, gli assetti del potere locale, le linee del governo del territorio e dei processi di trasformazione urbanistica ed economica» (p. VIII) che caratterizzarono la vita della città di Livorno negli anni ’20 e ’30. La ricerca, tuttavia, non rinuncia a ricostruire con attenzione il quadro politico del primo dopoguerra. Le ragioni di tale scelta sono duplici e convincenti. Restituire da un lato la dimensione di città «rossa» del centro portuale che spiega le difficoltà del Fascio livornese ad imporsi militarmente, tanto che le dimissioni dell’amministrazione municipale a guida socialista verranno solo nell’agosto del 1922, con l’intervento delle altre squadraccie toscane di Perrone Compagni, responsabili per altro della morte di quattro persone e di diciotto ferimenti. Il richiamo alle origini del fascismo labronico permette, inoltre, di sottolineare il peso esercitato nella politica locale da una figura cruciale come quella di Costanzo Ciano. Ciano, eroe della Grande guerra, rappresentò infatti il legame perfetto tra il movimento mussoliniano e la tradizionale classe dirigente liberale, preoccupata dei continui successi della sinistra. Ciano dunque fu il garante dell’alleanza tra fascisti e liberali, senza peraltro che questo comportasse, dopo l’avvento della dittatura e il consolidamento del regime, una preminenza dei cosiddetti «fiancheggiatori». A tenere saldamente in mano le redini del Partito e della Federazione provinciale fu sempre, come Mazzoni documenta accuratamente, il gruppo di fascisti della prima ora (Umberto Ajello, Raffaello Foraboschi, Gino Miniati, Carlo Severini) che aveva costituito il nucleo originario del movimento. Tuttavia grazie alla politica di sgravi fiscali e soprattutto all’istituzione dell’area industriale con la legge n. 1012 del 20 giugno 1929, il fascismo livornese trovò convinti ed entusiasti sostenitori anche nel mondo dell’imprenditoria e della grande borghesia cittadine.Ciano, dall’alto della sua posizione di leader nazionale, mantenuta nonostante le non ingiustificate accuse di affarismo che circonderanno la sua attività ministeriale, fu il punto di riferimento di tale processo osmotico che si realizzò nella sua città natale tra «vecchi» e «nuovi» fascisti, tra presunti «intransigenti» ed improbabili «moderati». Divenuto presidente della Camera dei deputati e poi di quella dei Fasci e delle Corporazioni, Costanzo esercitò sulla sua città un potere «ancor più forte rispetto ad altre realtà» anche per «la fragilità della federazione fascista», essendo il Pnf a livello cittadino «privo della forza, delle risorse e dell’autonomia necessarie per assumere posizioni autonome e far emergere personalità che ne possano mettere in discussione il controllo della città» (p. 139).

Tommaso Baris