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Mauro Ponzi – Il cinema del muro. Una prospettiva sul cinema tedesco del dopoguerra – 2010

Mauro Ponzi
Milano-Udine, Mimesis, 264 pp., Euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2010

Il volume inaugura una collana dedicata a letterature, arte e comunicazione diretta dallo stesso a., che insegna Letteratura tedesca alla «Sapienza» di Roma. Rispetto all’ampiezza annunciata dal sottotitolo, nella premessa viene precisata l’intenzione di offrire una ricognizione del cinema tedesco che ha tematizzato, nello specifico, il problema della divisione della Germania e infine del suo superamento dopo il 1989. In realtà, in omaggio al tratto interdisciplinare della collana, Ponzi ripercorre anche – non senza un certo appesantimento didascalico – le principali fasi della storia e della cultura tedesca dal 1945 ai giorni nostri, ribadendo quelle tappe, cesure, parole chiave e topoi che appartengono ormai al canone dell’interpretazione storica di questo arco temporale. Data la sua formazione, l’a. segue in parallelo le vicende della letteratura tedesca e quelle della produzione filmica nei due Stati tedeschi, con il rischio tuttavia di allontanarsi troppo spesso dall’oggetto specifico e più originale del suo studio. Ciò che preme a Ponzi, nella scelta che è obbligato a operare in un vastissimo corpus di produzione cinematografica che va da un capostipite come Gli assassini sono fra noi (1946) a Le vite degli altri (2005-2006), è dare risalto a quei film che, a Ovest come a Est, hanno saputo essere veicolo iconografico e allegorico dell’esperienza della frontiera nel suo materializzarsi o nel suo sedimentarsi nella memoria culturale, facendosi strumento di «risemantizzazione» della storia. L’analisi parallela tra le diverse modalità di espressione cinematografica sviluppate nelle due Germanie si basa sull’assunto che in quella occidentale i registi dovevano misurarsi con l’egemonia di un «linguaggio pubblicitario», in quella orientale con quella di «un linguaggio propagandistico». Dal bilancio complessivo cui perviene il volume emergono, in particolare, due dati salienti: il primo è che il tema della divisione ha dato luogo a una filmografia molto più significativa nella Ddr, sotto l’egida del glorioso centro di produzione della Defa, che non nella Brd; il secondo che, non di rado, è stata una prospettiva straniera (si pensi a Uno, due, tre di Billy Wilder) o esterna (si pensi a Il cielo sopra Berlino di un Wim Wenders di ritorno in Germania dopo il lungo soggiorno americano) a sviluppare lo sguardo e, insieme, il linguaggio più originale sulla ferita rappresentata dal Muro e dalla cortina di ferro. Nel dibattito critico ancora in corso, Ponzi prende inoltre decisamente le parti di chi sostiene la legittimità dell’uso di un concetto di «cinema della Ddr» anche dopo la scomparsa dello Stato tedesco-orientale, per lo meno fino a che autori e registi saranno ancora portatori di una esperienza autobiografica e di una memoria legate all’«altra» Germania. La vasta appendice di schede sui film trattati avrebbe potuto alleggerire il testo di troppi riferimenti alle trame, così come non si può non osservare che una maggior cura redazionale, evitando i numerosi refusi, avrebbe giovato al rigore complessivo del saggio.

Eva Banchelli