Anno di pubblicazione: 2006
Scrittore prolifico, esperto di storia italiana tra fascismo e dopoguerra, Franzinelli presenta in questo volume gli esiti di un’indagine ben documentata su un tema, quello dell’amnistia di Togliatti, di cui si era già in altre occasioni interessato. Con accenti che ricordano ben altre stagioni storiografiche, l’autore intreccia temi che solo recentemente hanno trovato in Italia una certa attenzione (epurazione e punizione dei criminali di guerra) con altri più consolidati (il ruolo di Togliatti e le sue relazioni con la base comunista). Centrale appare nel libro il ruolo della magistratura e in particolare di quella impegnata nelle Corti di cassazione. Il «colpo di spugna» del titolo del volume esplicitamente rimanda alla inefficacia delle misure giuridiche attuate per voltare pagina dopo il conflitto bellico, il crollo del fascismo, la guerra civile. L’incapacità di trovare un equilibrio tra il risentimento popolare, le ragioni di una necessaria pacificazione e le colpe di criminali e collaborazionisti sono ascrivibili, secondo l’autore, alle resistenze di magistrati che, maturati professionalmente durante il ventennio, e di cui nel libro si tracciano le carriere, si impegnano per liberare l’altissimo numero di fascisti detenuti. Certo questo fu possibile grazie ad una legge, quella dell’amnistia del 22 giugno 1946, piena di ambiguità e veri e propri errori di formulazione che consentirono alle corti una imprudente discrezionalità. Si mostra chiaramente come l’esclusione dai benefici della legge per gli autori di «sevizie particolarmente efferate» consentì la liberazione di autori di crimini gravissimi. Le responsabilità sono da attribuire interamente a Togliatti e non a una trappola posta da un personale burocratico sopravvissuto ai tiepidi procedimenti epurativi. Se Togliatti sia stato semplicemente malaccorto o avesse agito secondo un progetto, Franzinelli non lo dice; i riferimenti al dialogo aperto da Togliatti con ex mussoliniani sembrano però suggerire una risposta. Interessante è quella sorta di prosopografia degli amnistiati che occupa la parte centrale del libro. Hanno il merito queste pagine di superare la territorialità di gran parte dei lavori su questi temi; l’autore riesce a costruire un contesto più ampio e a liberare la ricostruzione da una dimensione rapsodica, in cui di rado è chiaro quanto contino tensioni e rancori locali. L’ultimo capitolo, prima di una raccolta documentaria e una cronologia, è dedicato a una comparazione tra le misure adottate in vari paesi per punire criminali di guerra e collaborazionisti e liberare le amministrazioni pubbliche da personaggi particolarmente compromessi. I casi di Francia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Austria mostrano come solo in Italia fu concessa piena impunità alla classe dirigente fascista. Se si fosse fatto riferimento anche alla Germania, dove i problemi della denazificazione e dell’epurazione si ponevano esattamente negli stessi termini, le somiglianze con il caso italiano sarebbero state certo maggiori, e il numero dei criminali reinseriti, come dimostra Norbert Frei nel suo Carriere (Torino, Bollati Boringhieri, 2003), non molto dissimile.