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Murray N. Rothbard – La Grande Depressione – 2006

Murray N. Rothbard
Prefazione di Lorenzo Infantino, Soveria Mannelli, Rubbettino, 545 pp., euro 29,

Anno di pubblicazione: 2006

Murray Rothbard è un economista, che sviluppa le teorie liberiste della scuola austriaca di Ludwig von Mises. Questo libro, uscito per la prima volta nel 1963, è poi divenuto un classico: ne sono state pubblicate in America ben cinque edizioni, l’ultima nel 2000. Questa è la prima edizione italiana, elegante e ben curata e filologicamente molto rigorosa. Un’interessante prefazione di Lorenzo Infantino traccia una biografia intellettuale dell’autore. Si tratta di un’interpretazione della Grande Depressione. L’equilibrio del libero mercato, secondo Rothbard, si spezza a causa della sovrabbondanza di moneta offerta dalle banche con il sostegno del governo. Aumentano i prezzi dei beni di investimento e poi quelli dei beni di consumo, si creano sperequazioni tra i vari settori dell’economia e quindi la inevitabile crisi recessiva. Il governo, che avrebbe dovuto contenere l’emissione di moneta, è il primo colpevole della distorsione inflattiva e la sua colpa aumenta quando tenta, con ulteriori interventi dirigistici, di alleviare la crisi, invece che farne dispiegare a fondo gli effetti. Dal punto di vista della ricerca storica lo studio si basa sul rovesciamento delle interpretazioni più accreditate: lungi dall’essere responsabile di una politica deflattiva, la presidenza Hoover generò la crisi con irresponsabili politiche monetarie, che sollecitarono l’inflazione del credito; poi la prolungò, drammaticamente, con misure dirigiste nel campo dei lavori pubblici, delle politiche sociali e salariali e sostegni alla produzione. Il dirigismo non venne dunque inventato da Roosevelt, ma coniato dai repubblicani stessi, che ripudiarono le sperimentate teorie del laissez faire. Roosevelt si limitò ad allargarlo. Il lavoro di Rothbard è molto dettagliato: dopo una lunga introduzione teorica in cui si accanisce in particolare contro i keynesiani, egli porta la sua attenzione sugli anni Venti. Divide equanimamente le colpe fra il governo e i banchieri centrali, soprattutto Benjamin Strong, potente governatore della Federal Reserve di New York, e Montagu Norman, governatore della Banca d’Inghilterra, che avrebbe convinto i suoi colleghi americani a iniettare liquidità nel sistema internazionale per alleviare i problemi dell’economia inglese e puntellare la declinante supremazia della sterlina. I capitoli successivi si rivolgono, invece, alle vicende domestiche dell’economia americana dal 1929 fino al 1932. Cosa concludere su questo interessante lavoro? Alcune delle interpretazioni e delle ricette proposte sembrano superate. Chi crede, oggi, nelle virtù taumaturgiche di dure recessioni per disintossicare l’economia e rettificare le ricorrenti crisi cicliche dell’economia? Tutta la gestione dell’economia americana degli ultimi anni sembra essere stata un esercizio opposto, mirante a puntellare l’economia per evitare lo «hard landing», a cui sembra condannarla l’eccessivo indebitamento interno ed estero. La teoria economica, inoltre, ha fatto molti passi in avanti nella valutazione, per esempio, delle condizioni di reale libertà del mercato per quanto riguarda comportamenti e aspettative, nonché asimmetrie nell’informazione degli attori. Rothbard ci appare, comunque, un controverso e acuto osservatore dei fatti.

Ruggero Ranieri