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Mussolini e la massoneria. Dal Congresso nazionale socialista di Ancona (26-29 aprile 1914) a «Il Popolo d’Italia» (15 novembre 1914-luglio 1917). Contributo per una storia della libera muratoria in Italia

Christian Palmieri
Milano-Udine, Mimesis, 193 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2017

Quasi tutti coloro che si sono occupati delle origini del fascismo hanno dedicato
uno spazio più o meno rilevante nelle loro opere ai rapporti che Mussolini intrattenne
con la massoneria. Secondo taluni, l’istituzione liberomuratoria avrebbe avuto addirittura
un ruolo decisivo nella gestazione del regime mussoliniano, che peraltro, «ingrata progenie
», la ripagò con le persecuzioni e la condanna allo scioglimento. È altresì ben noto che
proprio Mussolini, insieme a Giovanni Zibordi, fu il firmatario della mozione approvata
dal congresso nazionale socialista di Ancona dell’aprile 1914 che stabilì l’incompatibilità
fra l’appartenenza al Partito e alla massoneria. Relativamente meno conosciute sono le
relazioni che vi furono fra Mussolini e le due principali obbedienze massoniche italiane
nel periodo che va dalla sua conversione all’interventismo e dalla conseguente decisione
di uscire dal Psi fino all’epilogo della guerra. L’avverbio si rende necessario perché proprio
negli ultimi anni sono apparsi vari contributi che gettano luce anche su tali aspetti, in
particolare sugli ideali e sull’azione della massoneria durante la prima guerra mondiale.
In ogni caso, questo è il tema su cui si sofferma il libro di Palmieri, che non utilizza
carte d’archivio e basa la sua ricerca solo ed esclusivamente su fonti a stampa, per lo più
articoli di giornale. Il tema sarebbe di notevole interesse perché consentirebbe di capire
come il futuro duce nel breve volgere di pochi mesi, dall’aprile al novembre 1914, agli
occhi della massoneria passò da nemico assoluto ad «avversario», del quale essa, come si
legge in un suo organo semiufficiale, apprezzava «la sincerità, la dirittura di coscienza, la
fermezza di carattere» (p. 151). Sul terreno del comune interventismo patriottico, sebbene
diversamente declinato, si gettarono le basi di un idem sentire nazionalistico che
avrebbe superato il periodo bellico e creato le premesse perché nelle fasi convulse dell’immediato
dopoguerra la massoneria potesse vedere in Mussolini un interlocutore credibile
e affidabile.
Purtroppo, l’a., che resta fermo a una bibliografia piuttosto datata, non percorre
tutte le interessanti piste di ricerca che potevano aprirsi e si limita a offrire, nelle numerose
appendici di cui è corredato il volume, una pur utile raccolta antologica di stralci di
articoli apparsi in quotidiani e periodici sia socialisti che massonici. Dalla lettura di questi
brani affiorano spunti interessanti che converrà riprendere in altre occasioni. Come quello
relativo alla critica dell’anticlericalismo massonico, a cui nel 1914 Mussolini contrapponeva
l’«anticlericalismo di classe» dei socialisti. E pensare che nove anni dopo la massoneria
di Palazzo Giustiniani avrebbe rotto con il fascismo proprio per l’appoggio dato da
Mussolini alla Chiesa e per il suo tradimento della politica anticlericale.

Fulvio Conti