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Napoli. Nostalgia di domani

Paolo Macry
Bologna, il Mulino, 215 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il libro racconta la Napoli di Macry, come storico e come uomo. C’è la Napoli studiata
e la Napoli vissuta. La conoscenza profonda della storia è filtrata dalla soggettività
empatica di chi è entrato nell’anima della città e vuole conoscerla intimamente. Questa
dimensione sentimentale del libro è tutta nel paradosso del sottotitolo: Nostalgia di
domani.
Il libro ha una scrittura fluida e libera dentro una struttura selettiva. La narrazione
ora puntuale, topografica, cronologica, ora concettuale e analogica, è contenuta dentro
uno schema classico della storia urbana. Inizia con le pietre, gli uomini e le loro relazioni
reciproche, che creano gli spazi della socialità, della cultura, dell’economia e della politica,
definendo le relazioni tra topografia urbana e topografia sociale e il loro variare nel tempo.
La storia secolare di Napoli è fatta di spazi stretti che il potere ha sfibrato con insediamenti
monumentali. Sono spazi contesi, spesso occupati illegalmente, socialmente violenti,
che tengono la città in uno stato di tensione. Segue il rapporto tra uomini in eccesso e
risorse in difetto, che definisce i circuiti sperequati di redistribuzione della ricchezza e la
polarizzazione delle gerarchie sociali, le pratiche di appropriazione violenta e le tecniche
di sopravvivenza e riequilibrio. Continua con le fratture traumatiche della storia, che
nascondono il permanere di potenti flussi di continuità sostanziale dei processi; Macry ne
narra tre: il 1799, il 1860, il 1944. Infine la storia del presente, incarnata da tre sovrani
repubblicani – Lauro, Bassolino, De Magistris – di cui il secondo è punto di equilibrio e
consapevolezza tra i populismi, diversi per epoca e contesto, del primo e del terzo. Molte
le presenze di uomini e luoghi, ma molte anche le assenze, per 200 pagine, belle proprio
per il taglio selettivo, che invita a riflettere. L’ultimo capitolo fa sintesi della narrazione
intorno all’idea dell’identità debole della città. Chiude una chiosa autobiografica, fuori
dalla sequenza dei capitoli: Essere napoletani.
Ma cosa rende Napoli una città diversa dalle altre? Macry esce fuori dagli stereotipi
e dal paradigma dell’eccezionalità e procede per comparazione, con Milano ad esempio.
Ci dimostra che «Napoli è luogo di tensioni identitarie». La «questione napoletana» è per
lui il prodotto di una dialettica che vede da una parte la denuncia dei suoi mali con radici
profonde, «ovvero le criticità del territorio e delle sue popolazioni», e dall’altra la difesa
«di retroguardia», «debole» e «incerta» delle istituzioni e delle élite politiche e intellettuali:
una bulimia critica e disperante a cui corrisponde la rimozione di un male avvertito come
vero. Ne deriva un «bizzarro ping pong tra denuncia e negazione» (p. 165), che esprime
storicamente la scarsa consapevolezza sui limiti e le potenzialità della città, tanto delle
classi dirigenti quanto del popolo. A Napoli manca un sistema di cultura profonda e diffusa,
capace d’innervare l’intera comunità, di strutturarne il tessuto sociale, di comporre
il rapporto tra élite e popolo e di fornirle gli strumenti di consapevolezza sociopolitica,
costringendola a una identità debole e incerta.

Salvatore Adorno