Cerca

Nelle mani delle donne. Nutrire, guarire, avvelenare dal Medioevo a oggi

Maria Giuseppina Muzzarelli
Roma-Bari, Laterza, 201 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2013

Maria Giuseppina Muzzarelli, professoressa di Storia Medioevale, in questo volume sposa il lungo periodo ed elabora un percorso che – snodandosi dal Medioevo alla contemporaneità – ricostruisce la complessa relazione tra donne e i cibi anche attraverso una ricca appendice iconografica. Una relazione indubitabilmente frutto di costruzioni culturali troppo spesso pensate come caratteristiche naturali. Il rapporto con i cibi non si esaurisce con il nutrire ma implica un universo di azioni come «guarire, sedurre, modificare relazioni, avvelenare» (p. VIII), e include anche la mancata possibilità per le donne di mangiare liberamente o la scelta del digiuno, oltre al nodo che lega santità e anoressia. Si arriva fino al tema ultracontempraneo dello scrivere di cibo, dei ricettari come autobiografia. Le fonti sono eterogenee, dai procedimenti giudiziari ai trattati, dai dipinti alle opere letterarie e rispondono al desiderio dell’a. di complicare il quadro. Il percorso parte prevedibilmente dalla capacità delle donne di «farsi cibo» attraverso l’allattamento. Tema frequentatissimo dalla storiografia – soprattutto dagli studi dedicati al baliatico – in questo caso l’autrice sceglie di evidenziare il «gioco perenne di sottrazione della funzione e/o all’opposto di imposizione ad esercitarla» (p. 45).
Dalla triade «nutrire, curare, amare» si generano ulteriori complessità. Ad esempio il passaggio da guaritrici – non solo dei corpi ma anche di difficili rapporti amorosi – a streghe o la trasformazione del cibo da nutrimento in veleno e quindi in arma per venefici.
In un continuo ed efficace rimando tra somministrazione e sottrazione, Muzzarelli considera anche la privazione come relazione con il cibo. «Sottrarsi il cibo per punirsi oltre che per mettersi alla prova» (p. 69) è una pratica che risale ai primi secoli del cristianesimo. La rinuncia a nutrirsi, che può essere imposta o scelta, nel racconto trova rivelatori esempi ottocenteschi (soprattutto in letteratura) ed è spesso «un rifiuto consapevole […] che connota un tempo in cui nel quale nelle mani delle donne non c’erano molti strumenti per affermare la propria volontà» (p. 81).
L’ultimo passaggio – legato all’ultracontemporaneità – è il più originale ed è felicemente riassunto dall’espressione «dal sapore al sapere». Il mangiare come conoscenza, ricorda l’a., non è una teorizzazione recente ma elaborata già, ad esempio, dalla monaca messicana Juana Inés de la Cruz che era partita dalla cucina come luogo di elaborazione del pensiero alla rivendicazione del diritto delle donne alla conoscenza. Il potenziale storiografico dei ricettari e dei manuali di cucina – in termini di nation-building, ad esempio – è un’acquisizione ormai consolidata ma la preparazione del cibo, sembra suggerire Muzzarelli, si è trasformata da obbligo, incombenza o potenziale strategico in conoscenza di sé, possibilità di autobiografia.

Alessandra Gissi