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Nemici in patria. Antifascisti al confino

Marco Minardi
Parma, Mup, 186 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2018

La foto in bianco e nero sulla copertina del libro, se fosse completamente estrapolata dal contesto, potrebbe quasi fuorviare. L’immagine ritrae una famiglia – quella di Um- berto Pagani ed Elvira Bonacini con i figli Bruna e Giacomo – in riva al mare, ritratti con un’espressione compita – nient’affatto inusuale per le foto dell’epoca – e vestiti con abiti non di uso quotidiano, quasi da vacanza. È il titolo del libro che immediatamente ci fa ricollocare la foto e ci fa capire che non si tratta di una villeggiatura.
Il volume di Marco Minardi aggiunge un nuovo tassello agli studi sul confino di polizia riconfermando, tramite un felice dialogo tra macro e microstoria, la brutalità, la violenza, l’arbitrio che costituirono l’essenza stessa della misura adottata dal regime contro i suoi nemici. È la ricostruzione, attenta e documentata dai materiali di archivio, delle vicende di numerosi confinati parmensi a offrire qualcosa di nuovo sul confino. Tra le eccezionalità sta il fatto che molti di quei confinati parmensi erano quelli che avevano partecipato alle mobilitazioni sindacali dei primi del secolo o che avevano fatto le barri- cate contro i fascisti nel 1922, perciò, per loro l’assegnazione al confino assunse quasi un carattere di vendetta da parte delle autorità locali.
Il libro dà voce a una parte delle migliaia di confinati – quelli parmensi – e alle loro famiglie, in particolare le mogli. Giovani donne appartenenti alle classi più umili, dalle condizioni economiche precarie. Molte fecero richiesta di sussidi per pagare l’affitto, fare le spesa, affrontare la quotidianità. Alcune si limitarono a rivendicare il diritto di «lavorare come ho sempre fatto» (p. 74), possibilità loro preclusa in quanto parenti di antifascisti.
L’a. dà un nome a questo universo femminile, spesso rimasto sommerso, ma segnato invece da indigenza e da condizioni psicologiche difficilissime e da gravi condizioni di salute: sono le varie Paolina Rocchetti, Adalgisa Brignoli, Maria Isola e sua figlia Anita costretta a abbandonare la scuola per andare a lavorare, Augusta Mattioli, Albertina Pon- giluppi, la già citata Elvira Bonacini. Alcune riuscirono a raggiungere i mariti sulle isole, come fece Rosina Pianforini moglie di Dante Gorreri, malata di tbc così come sua figlia che morì a soli quattro anni. Tutte giovani donne, ma molto determinate: emblematica la vicenda di Camilla Monferdini, moglie di Enrico Griffith, che a fronte del rifiuto delle autorità di trasferire la salma del marito, morto per complicazioni polmonari al confino, non solo organizzò la traslazione e il trasporto da Napoli a Parma, ma riuscì a evitare gli agguati dei fascisti arrivando di notte e seppellendo la bara all’alba del mattino seguente.
Molti di questi parmensi conobbero le violenze della Milizia volontaria per la sicu- rezza nazionale, come Picelli che subì quelle del tenente Veronica, o Griffith che incappò con altri in denunce al tribunale speciale prive di fondamento.
Forse il titolo avrebbe dovuto rispecchiare meglio il contenuto del libro che tratta, sì, del confino, ma di quello dei temuti «sovversivi» di Parma. Chiude il volume, agile e ben scritto, un bell’apparato di foto d’archivio.

Camilla Poesio