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Nicolas Werth – Nemici del popolo. Autopsia di un assassinio di massa, 1937-1938 – 2011

Nicolas Werth
Bologna, il Mulino, 295 pp., Euro 26,00 (ed. or. Paris, 2009)

Anno di pubblicazione: 2011

L’incipit trasmette in poche righe la feroce combinazione di casualità e rigidità burocratica che accompagnò il terrore staliniano. Il 16 ottobre 1937 il ferroviere Vdovin fu arrestato a Mosca per ubriachezza, e rilasciato il giorno dopo. Dal verbale risultava che Vdovin aveva insultato il capo dello Stato Kalinin, e per evitare guai il poliziotto incaricato di seguire la vicenda trasmise la pratica al suo superiore. Di istanza in istanza, il caso raggiunse la trojka dell’Nkvd, che emise la prevedibile sentenza: Vdovin fu condannato per attività controrivoluzionaria, e fucilato il 3 dicembre. Il suo non era un caso isolato. All’inizio di luglio era stata avviata in gran segreto l’«operazione kulak», diretta anche contro «elementi criminali», ex funzionari zaristi, membri del clero e di partiti politici, espulsi dal Partito comunista. Il 20 dello stesse mese erano state lanciate le «operazioni nazionali», che ebbero come bersagli i cittadini sovietici di origine tedesca che lavoravano in settori strategici, e poi si diressero contro l’Organizzazione militare polacca, nella quale erano inclusi sia «elementi antisovietici e nazionalisti» sia gli emigrati politici in Urss. L’operazione servì da modello per le cinque successive che si abbatterono su minoranze nazionali dislocate ai confini dell’Urss. L’ultima operazione, iniziata il 15 agosto, colpì mogli e conviventi dei condannati, a meno che non avessero denunciato il marito, e figli sopra i 15 anni. Come erano iniziate, le operazioni ebbero termine per una direttiva segreta del Politbjuro, datata 17 novembre 1938. Il loro bilancio ne fa una delle pagine più tragiche della storia sovietica. In poco più di un anno i tribunali speciali dell’Nkvd emisero circa 1,5 milioni di condanne, metà delle quali a morte; più di 400.000 persone subirono condanne minori ai 5 anni. Werth ricostruisce la vicenda con il consueto scrupolo documentario e capacità di sintesi. La citazione integrale di molti documenti rende la lettura impegnativa, ma la scelta era inevitabile. Anche dopo la morte di Stalin e il crollo dell’Urss, memorie collettive e individuali non hanno conservato il ricordo di vicende lontane, svoltesi lontano dai grandi centri; le nostre conoscenze dipendono da quanto è emerso dagli archivi dopo il 1992. Dal lavoro di Werth giunge la conferma definitiva che le purghe staliniane furono in ogni fase controllate dal centro e da Stalin in persona, e non si trasformarono in un meccanismo caotico, simile alla rivoluzione culturale cinese, come alcuni studiosi hanno sostenuto. Si pone allora la questione: perché furono lanciate le «operazioni di massa», e perché si svolsero in gran segreto, a differenza del coevo attacco alle élites del Partito? L’affermazione dell’a. che il «Grande Terrore fu da principio e prima di tutto una vasta impresa d’ingegneria e di “purificazione” di massa» (p. 11) ignora forse la novità centrale del momento: per la prima volta Stalin e il suo clan colpirono in modo radicale la società e i quadri che essi stessi avevano formato, con il fine di consolidare più che di trasformare l’esistente. Spiace dirlo, data la fonte, ma l’affermazione di Molotov: «grazie al 1937 non abbiamo avuto una quinta colonna durante la guerra» (p. 215), resta l’interpretazione più convincente delle origini del Grande terrore.

Fabio Bettanin