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Nobiltà e miserie di Clio. Gli abusi della storia contemporanea

Guido Panico
Milano, FrancoAngeli, 2013, 141 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2014

Il volume affronta i principali nodi della discussione sull’uso politico della storia nell’Italia repubblicana: la supposta «egemonia» degli intellettuali di sinistra, il carattere politicizzato della produzione storiografica ascrivibile a quest’area, la storia dell’antifascismo come memoria imposta dai vincitori. Nella prima parte l’a. ragiona attorno al concetto di «egemonia culturale» come arma di conquista politica degli intellettuali da parte del Pci, chiarendo come esso non sia ascrivibile a Gramsci, bensì alla contesa politica dell’immediato dopoguerra. In quanto tale esso va distinto dalla valutazione dei risultati scientifici degli intellettuali che in diverso modo si collocarono nel campo della sinistra. L’a. mostra come molti storici appartenenti alla sinistra politica (tra gli altri G. Manacorda, E. Ragionieri, G. Procacci, P. Villani, F. Della Peruta) fossero intellettuali formatisi al contatto con maestri dalle più varie scuole, precedenti e talvolta contrapposte al marxismo: lo storicismo crociano e gentiliano in primo luogo, ma anche il positivismo e – più avanti – l’annalismo francese. Se essi ebbero negli studi e nell’accademia un’influenza «egemonica» ciò avvenne in virtù di meriti scientifici e riconosciuta qualità culturale. Le stesse riviste di ispirazione marxista (ad es. «Società», «Movimento operaio», «Studi storici») furono la sede di confronti e scontri sulla necessaria chiarificazione dei ruoli politici e scientifici degli uomini di cultura.
Nel secondo saggio l’a. propone una disamina della storiografia sui partiti (inclusa quella cattolica e socialista), sia nella versione di storia dei gruppi dirigenti che in quella delle biografie di leader. Qui rinviene limiti ascrivibili non tanto alla volontà di giustificare le rispettive linee politiche, quanto, spesso, all’approccio piattamente politologico al ruolo dei partiti nella società.
Il terzo tema affrontato è quello del revisionismo storico come ideologia che negli ultimi decenni, facendo leva sulla semplificazione televisiva e giornalistica, ha usato l’argomento della revisione delle acquisizioni storiografiche per portare un attacco – questo sì politico – alle istituzioni democratiche. Qui l’a. discute l’uso del paradigma della «voce dei vinti» (ovvero «gli oppressi dall’egemonia culturale della sinistra», p. 110), per annacquare le responsabilità del fascismo e attaccare il ruolo dell’antifascismo. Nelle ultime pagine l’a. prende posizione contro i tentativi di proporre una memoria condivisa, non solo perché la memoria è inevitabilmente frammentata, ma perché dietro a essi si cela la volontà di sottrarre alla storia il compito fondamentale di distinguere e giudicare eventi e responsabilità. Nel complesso il volume offre il punto di vista di uno studioso che si congeda dall’accademia riconoscendo «orgogliosamente» (p. 122) la propria appartenenza alla storiografia di sinistra e allo stesso tempo esponendo in modo convincente le ragioni molteplici della sua «presa» – chiamiamola pure egemonia – su diverse generazioni di intellettuali.

Gilda Zazzara