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Novecento all’Indice. Gabriele d’Annunzio, i libri proibiti e i rapporti Stato-Chiesa all’ombra del Concordato

Matteo Brera
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, XVIIII-366 pp., € 38,00

Anno di pubblicazione: 2016

L’apertura dell’archivio della Congregazione per la dottrina della fede, nel gennaio 1998, ha inaugurato una ricca stagione di studi sulle carte del Sant’Uffizio e della Congregazione dell’Indice dei libri proibiti. Nonostante la maggior parte delle ricerche si siano concentrate sull’Inquisizione romana e, da un punto di vista cronologico, sull’età moderna, negli ormai vent’anni che ci separano dal 1998 non sono mancate le indagini sulla censura libraria ecclesiastica tra ’800 e ’900. A queste si aggiunge ora il libro di Matteo Brera, frutto di una ricerca di dottorato in Italian Studies conclusasi presso l’Università di Utrecht nel giugno 2014. Questo ha per oggetto le quattro condanne all’Indice dei libri proibiti inferte alle opere di Gabriele D’Annunzio dalla Congregazione dell’Indice prima e dal Sant’Uffizio poi tra il 1911 e il 1939.
Fino alla preparazione del Martyre de Saint Sébastien (1911), come sempre accuratamente coperta dalla stampa internazionale, la Congregazione dell’Indice ignorò completamente l’opera dannunziana, accontentandosi della condanna implicita che, secondo le norme canoniche, ricadeva su di essa così come su ogni opera oscena. L’imminente rappresentazione parigina del Saint Sébastien, in cui il ruolo del protagonista era stato per di più affidato «a una donna! Una ballerina! E una ballerina ebrea!», come denunciò, scandalizzata, la «Semaine catholique» (p. 87), alzò però il livello di pericolosità dell’opera dannunziana, almeno agli occhi della Congregazione dell’Indice, che in tempi insolitamente rapidi giunse alla condanna di tutte le prose amorose, di tutte le opere teatrali, e dell’antologia Prose scelte (1906 e 1909).
A diciassette anni di distanza, nel 1928, la condanna sarebbe stata estesa dal Sant’Uffizio (responsabile della censura libraria dopo la soppressione della Congregazione dell’Indice, nel 1917) all’opera omnia del «vate». Questo secondo procedimento fu innescato dalla decisione mussoliniana di premiare i meriti del «Poeta-soldato» nei confronti della «Nazione» (p. 154) con la fondazione di un istituto nazionale per la pubblicazione di tutte le sue opere. Condotto sotto l’attenta regia di Pio XI, il processo si proponeva, come dimostra l’a., uno scopo «politico»: riaffermare, nel quadro delle trattative per i Patti Lateranensi, l’autorità suprema della Chiesa in campo morale. Negli anni ’30 due ulteriori condanne si abbatterono sulle ultime opere di D’Annunzio: Il Libro segreto (1935) e Solus ad solam (1939; pubblicato postumo).
Basato su un’analisi scrupolosa delle carte processuali relative alla ripetuta messa all’Indice del «vate», lo studio è arricchito dall’esame di altri procedimenti contro la letteratura «mistico-sensuale» aperti in quegli stessi anni, a partire da quello contro l’«ebreo» Guido da Verona – la sottolineatura, risalente al 1920, è del direttore della «Civiltà Cattolica», il padre gesuita Enrico Rosa, in questo caso nei panni del qualificatore esterno del Sant’Uffizio (p. 110).

Sante Lesti