Cerca

Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti

Massimo Teodori
Venezia, Marsilio, 159 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2017

In risposta al sorprendente esito delle presidenziali del 2016, Massimo Teodori colloca
l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca in prospettiva storica, identificando
alcuni filoni pregressi di populismo che si sono sovrapposti alla tradizione di democrazia
liberale con cui gli Stati Uniti sono associati. L’odierna contrapposizione tra una società
multietnica e progressista, radicata nelle grandi aree metropolitane, e un’America provinciale
e intollerante, composta da ceti medi e operai in decadenza economica, che ha votato
per Trump, risulta la manifestazione più recente di una spaccatura che, in precedenza,
aveva alimentato molteplici fobie, volte ad additare presunti cospiratori intenzionati a
privare il popolo americano della sua sovranità a beneficio di una élite di approfittatori. Il
sovranismo di Trump ha, pertanto, una variegata genia di precursori, che pure in passato
avevano fatto degenerare il patriottismo in nazionalismo isolazionista e xenofobo con
venature di suprematismo bianco: i nemici della massoneria nel primo terzo dell’800; i
fautori dell’America agraria, atterriti dalla modernizzazione industriale, alla fine del secolo;
i nativisti contrari all’immigrazione di cattolici, asiatici nonché europei orientali
e meridionali tra la metà dell’800 e il primo dopoguerra; gli assertori della neutralità
all’epoca dei due conflitti mondiali. A ridimensionare l’eccezionalità di Trump sta anche
la constatazione che Andrew Jackson, presidente dal 1829 al 1837, è considerato l’artefice
della prima svolta populista nella politica statunitense.
Il testo ha un carattere divulgativo, attestato da una galleria di microbiografie di
demagoghi, sostenitori di svolte autoritarie, che hanno costellato il ’900: dal magnate
antisemita dell’auto Henry Ford al senatore anticomunista Joseph McCarthy, passando
per i governatori razzisti Strom Thurmond e George Wallace. Con questa finalità interferiscono,
però, alcune sviste: il sindaco Fiorello La Guardia non era democratico (p. 54)
ma repubblicano; lo scrittore Mark Twain non definì Golden Age il periodo successivo
alla Ricostruzione (p. 69) bensì Gilded Age; l’editore Henry Luce non pubblicò il saggio
The American Century su «Time» (p. 99) ma su «Life». Inoltre, sarebbe stato utile affrontare
alcune anticipazioni del nativismo ottocentesco come gli Alien and Sedition Acts del
1798 oppure la polemica di uno dei padri della patria, Benjamin Franklin, che alla metà
del ’700 espresse la sua apprensione per una germanizzazione della Pennsylvania a causa
dell’afflusso di immigrati tedeschi.
In una dimensione attualizzante, l’a. attribuisce a Stephen Bannon, il reazionario
ideologo della Alt-Right, il successo di Trump alle urne perché ha saputo dare una consistenza
elettorale a pulsioni populiste che avrebbero potuto continuare a rimanere latenti.
Tuttavia, Teodori ritiene anche che i checks and balances (i controlli reciproci tra potere
legislativo, giudiziario ed esecutivo) siano in grado di impedire derive autoritarie, formulando
così – più che una valutazione storica – un ottimistico auspicio sulla capacità di
tenuta delle istituzioni statunitensi.

Stefano Luconi