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Per missione e per interesse. Il discorso coloniale in Francia durante la Terza Repubblica

Anna Lisa Pinchetti
Milano, FrancoAngeli, 192 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2017

Del modo in cui prende forma una nazione coloniale gli studiosi dell’imperialismo
europeo si occupano ormai da diversi anni, consci dell’insufficienza di ricostruzioni che
tengano in considerazione esclusivamente l’aspetto militare, amministrativo ed economico
delle occupazioni coloniali. Allo stesso tempo, l’elaborazione e la divulgazione di discorsi
che riguardano la presenza europea nelle colonie sono considerati l’anello di congiunzione
tra le politiche espansioniste e i processi di costruzione e ricostruzione, anche identitaria,
delle nazioni europee. È con questa duplice prospettiva che il lavoro di Pinchetti ripercorre
il processo di elaborazione del discorso coloniale nella Francia della Terza Repubblica,
individuandone attori – in particolare il parti colonial –, canali di diffusione e contenuti.
Un tema in sé non del tutto nuovo (trattato però quasi esclusivamente dalla storiografia
francese e in francese), ma al quale l’a. riesce a dare una forma allo stesso tempo sintetica
e dettagliata, offrendo inoltre alcuni momenti di approfondimento particolarmente utili
per comprendere i meccanismi di creazione e diffusione del discorso coloniale.
Il titolo Per missione e per interesse riassume la tesi principale del volume, secondo
cui il discorso coloniale della Terza Repubblica si reggeva sostanzialmente su due ordini
di motivazioni. Da una parte un interesse di tipo politico ad avere un Impero: dopo il
ridimensionamento subito nel 1870 la Francia necessitava di ritrovare fiducia nella propria
grandezza, e l’espansionismo rappresentò «uno strumento di rigenerazione morale
e nazionale» (p. 105). Dall’altra la missione era invece quella che, secondo la cultura
dominante dell’epoca, accomunava i diversi paesi europei, assegnando loro una funzione
modernizzatrice e civilizzatrice nei confronti dei popoli africani e asiatici. Nel caso francese
questa argomentazione acquistava una valenza ulteriore, spiega l’a., poiché serviva a
conciliare l’inconciliabile, il «valore della Rivoluzione e dell’Illuminismo con la violenza
dell’azione colonizzatrice» (p. 82).
Senza trascurare le ricadute pratiche di tali discorsi sull’azione in colonia, l’attenzione
dell’a. è rivolta prevalentemente al fronte interno: dunque all’impulso dato a vari livelli,
istituzionali e no, per rendere possibile l’occupazione coloniale ma anche per portare
l’Impero nella vita dei francesi. Non si tratta solo di uno sguardo dall’alto: al termine del
ricco capitolo dedicato all’insegnamento coloniale, proprio l’affondo finale sulle annotazioni
degli studenti dei corsi dell’École coloniale affronta – risolvendolo positivamente,
pur tra molte cautele – il cruciale nodo della reale efficacia degli sforzi educativi e propagandistici.
In questo modo il lavoro di Pinchetti contribuisce non solo alla comprensione del
caso francese, ma anche alla riflessione più generale sul ruolo del colonialismo nella formazione
e nella educazione delle comunità nazionali europee.

Valeria Deplano