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Perché i tedeschi, perché gli ebrei? Uguaglianza, invidia e odio razziale. 1800- 1933

Götz Aly
Torino, Einaudi, 280 pp., € 32,00 (ed. or. Frankfurt am Main, 2011, trad. di Valentina Tortelli)

Anno di pubblicazione: 2013

Con questo lavoro Aly, già autore, con Suzanne Heim, del volume Vordenker der
Vernichtung: Auschwitz und die deutschen Pläne für eine neue europäische Ordnung (Fischer,
1993), nonché de Lo stato sociale di Hitler. Rapina, guerra razziale e nazionalsocialismo
(Einaudi, 2007), si sposta dall’analisi dei meccanismi economici e sociali sottesi ai piani
di sterminio all’indagine sulle «radici» che hanno portato alla Shoah, le «premesse sociali
che consentirono all’antisemitismo di farsi fine politico dello Stato» (p. 205). Obiettivo è
trovare una possibile risposta ad alcuni semplici interrogativi che stanno alla base di tutta
la vasta letteratura sul regime nazionalsocialista: «Perché i tedeschi hanno ucciso sei milioni
di uomini, donne e bambini per la sola ragione che erano ebrei? Com’è stato possibile?
Come ha potuto un popolo civile e culturalmente così ricco e produttivo liberare una
simile energia criminosa?» (p. VII).
Assunto di partenza dell’a. è che la matrice dell’antisemitismo in Germania sia stato
un sentimento, mosso soprattutto dall’invidia nei confronti della minoranza ebraica e
della loro ascesa sociale nell’età dell’emancipazione, richiamando implicitamente l’idea
sartriana dell’antisemitismo come opinione, espressa all’indomani della conclusione della
guerra (Réflexions sur la question juive, 1946). Come precisa ancora l’a., «chi vuol capire
l’antisemitismo della maggioranza tedesca deve parlare delle attitudini e del desiderio di
cultura, della presenza di spirito e della rapida ascesa sociale di così tanti ebrei. Solo allora
risulteranno evidenti sia il contrasto con la maggioranza dei tedeschi, nel complesso
inerte e lenta ad accettare i cambiamenti, sia gli alibi dell’antisemitismo. Solo allora sarà
possibile capire perché gli antisemiti erano persone rose dalla gelosia e dalla rabbia» (p.
XVII). Questa prospettiva, che insiste sulle matrici sociali rispetto a quelle culturali, scelta
dall’a. come unica chiave di lettura, appare un po’ forzata, se si applica all’antisemitismo,
che necessita di tenere insieme molti fattori e presenta una genealogia complessa. L’a.
ripercorre il periodo che va dall’inizio dell’800 all’avvento del nazismo, e analizza come si
strutturarono i rapporti fra i cristiani tedeschi e la minoranza ebraica, che visse il processo
di emancipazione e lentamente si integrò, non senza difficoltà, nella società maggioritaria;
ne emerge un quadro tracciato sulla base di un’ampia documentazione, nel quale si
trovano narrate anche le vicende della famiglia di Aly, segnatamente quelle di un nonno
piccolo-borghese che aderì alla Nsdap dopo essere rimasto disoccupato nel 1926. Il «terrore
dell’uguaglianza, il veleno dell’invidia» (p. 228) del popolo tedesco nei confronti
degli ebrei trovarono sì una rapida accelerazione con la prima guerra mondiale e la sconfitta,
ma erano preesistenti, come argomenta l’a. attraverso i vari capitoli, ribadendo nelle
amare note conclusive che non bisogna «credere che gli antisemiti di ieri fossero persone
totalmente diverse da noi che viviamo oggi» (p. 238).

Valeria Galimi