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Presenza Armena in Italia: 1915-2000

Agop Manoukian
Milano, Guerini e associati, 384 pp., € 28,50

Anno di pubblicazione: 2014

Questo volume «nasce dal desiderio dell’Unione degli Armeni d’Italia di rintracciare circostanze e date della propria genesi che risale al 1915, anno simbolo del genocidio degli armeni» (p. 9). Si definisce come una «microstoria» che ha per soggetto «il piccolo frammento italiano della grande diaspora armena» e si articola in tre parti: «La narrazione», «Culture a contatto», «Cronologia». Quest’ultima è un «lungo elenco di date e di eventi… redatto in modo non selettivo» (p. 16) e occupa uno spazio relativamente limitato, mentre i quattro quinti del volume sono divisi in modo ineguale tra le prime due parti.
La spina dorsale dell’opera è la «narrazione» che, come riassume efficacemente la quarta di copertina, «da un lato esamina in che modo gli armeni giunti in Italia si sono integrati nella società italiana, quali strategie hanno elaborato nelle varie stagioni politiche per farsi conoscere, riconoscere, accettare… Dall’altro… mette in luce come la società italiana… [abbia] interagito con questi “stranieri”». L’a. dedica in effetti ampio spazio tanto allo sforzo della comunità armena di integrarsi dapprima nell’Italia fascista e poi in quella repubblicana, quanto alle interazioni tra gli armeni e la società di accoglienza, in particolare in momenti di crisi come il terremoto del 1988 e la successiva, difficile conquista dell’indipendenza armena. Molta attenzione è anche dedicata alla pubblicistica prodotta sull’Armenia in lingua italiana (cap. 15) e a quella di autori armeni che scrivono in lingua italiana (cap. 17).
Nell’insieme, il volume resta però principalmente un resoconto fattuale, volto a «raccogliere i frammenti di una memoria che lentamente si va perdendo e cercare di identificare un percorso e degli accadimenti» (p. 11) piuttosto che a fornire un’interpretazione storiografica dell’evoluzione della presenza armena in Italia. Scarseggiano i riferimenti alla peraltro vasta letteratura sulle diaspore e sulle loro relazioni con i paesi d’accoglienza, e restano solamente abbozzati i tentativi di effettuare comparazioni con esperienze analoghe, prima fra tutte quella della Francia (pp. 51-52). Parimenti, l’a. registra debitamente eventi come gli atti terroristici antiturchi di fine anni ’70 (pp. 161-164) e segue con attenzione il progressivo affermarsi della memoria del genocidio del 1915 come punto focale di una identità armena condivisa, ma non dedica particolare attenzione alle importanti dimensioni internazionali e transnazionali di tali eventi. In generale, mentre il ricorso alla documentazione dell’Unione Armeni d’Italia permette di ricostruire in maniera precisa e dettagliata le vicende della comunità, queste ultime non sono sempre collocate su uno sfondo storico adeguatamente ampio.
Ciò detto, ci si può augurare che il volume di Manoukian possa costituire un modello per studi analoghi su altre comunità immigrate in Italia e sull’interazione tra queste ultime e la società di accoglienza – un argomento potenzialmente di notevole interesse per la storia italiana, in particolare se declinato in relazione a comunità più numerose e ampiamente ramificate di quella armena.

Antonio Ferrara