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Quintino Sella ministro delle Finanze. Le politiche per lo sviluppo e i costi dell’Unità d’Italia

Fernando Salsano
Bologna, il Mulino, 261 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione: 2013

Come avverte l’a., non di una biografia di Quintino Sella si tratta, né della sua biografia politica, bensì di una «ricostruzione critica dell’azione svolta come ministro delle Finanze nel difficile contesto dell’Italia postunitaria» (p. 10). La parte più originale del volume è costituita dai quattro capitoli centrali dedicati all’impegno governativo dell’industriale biellese durante i suoi tre mandati ministeriali. Dall’ostilità incontrata quando nel 1862, a 35 anni e privo di esperienza amministrativa, resse per la prima volta il dicastero delle Finanze, al piano di risanamento finanziario e di riordino creditizio concepito quale ministro del governo La Marmora, al ruolo di deus ex machina assunto nei tre anni che seguirono la guerra e l’emergenza finanziaria del 1866, alle politiche monetarie e di rigore avviate grazie al «sistema Sella» nel Gabinetto Lanza, l’a. ricostruisce puntualmente l’unitarietà di tale percorso e al tempo stesso la sua specificità all’interno della più ampia battaglia condotta dalla Destra storica per il pareggio di bilancio.
I nodi intorno ai quali il lavoro ruota sono molteplici. Decostruire il doppio stereotipo, fortemente ancorato ai giudizi politici dell’epoca, di un Sella affamatore del popolo/salvatore della patria sottolineando di contro come la sua azione politica fosse assai poco ideologica ma improntata da una buona dose di pragmatismo e dalla capacità di adattamento alle mutevoli condizioni politiche ed economiche del paese. Rivisitare la consolidata immagine di un Sella in preda a «furia contabile», mero «ragioniere» dei conti dello Stato, valorizzando al contrario l’originalità dei provvedimenti proposti e l’eterodossia delle sue concezioni rispetto alle rigidità dottrinali del tempo. Dimostrare che la perseguita stabilità finanziaria rientrava in una strategia a più lungo termine e rispondeva alla sua personale visione dello sviluppo in cui il ridimensionamento dei rentiers, la liberazione di capitali per l’industria, la lotta all’evasione fiscale, il potenziamento degli investimenti pubblici a favore dei ceti produttivi, l’incremento di infrastrutture materiali e immateriali, il taglio delle spese non produttive (in particolare, quelle militari) erano punti cardine.
Tuttavia, sebbene il primo capitolo sia dedicato alla formazione di Sella e nel capitolo finale il suo impegno sui temi della questione romana e di Roma capitale ne mettano in luce l’ininterrotta tensione etica e politica, l’attenzione al realismo finanziario rischia talora di mettere in ombra la poliedricità del personaggio e le inevitabili sfasature tra il politico, l’industriale e l’uomo, intriso dei valori della comunità d’origine e forte di una robusta rete locale di relazioni notabilari. Qualche incursione in più nella dimensione della soggettività, nei conflitti/mediazioni interiori tra sfera privata e pubblica, tra respiro internazionale e consapevolezza delle fragilità del neonato Stato italiano, tra cultura scientifica e umanistica, avrebbe certamente arricchito di nuovi spunti la lettura di una figura indubbiamente protagonista della stagione della Destra storica.

Daniela Adorni