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Renata De Lorenzo – Un regno in bilico. Uomini, eventi e luoghi del Mezzogiorno preunitario – 2001

Renata De Lorenzo
Roma, Carocci, pp. 391, euro 25,31

Anno di pubblicazione: 2001

Tema unificante di questa pur ricca e varia raccolta di scritti (di cui due inediti), tutti redatti fra il 1998 e il 2000, è la rivoluzione nel Mezzogiorno preunitario. Tale scelta tematica appare quanto mai opportuna e in linea con la recente evoluzione della storiografia sul periodo giacobino e napoleonico, perché rimette al centro del discorso la politica, dopo anni di studi dedicati alle vicende economiche, sociali e soprattutto istituzionali del ?lungo Ottocento? meridionale. Questa stagione, tuttavia, non è passata invano; quella di De Lorenzo non è una tradizionale storia delle idee e dei pensatori politici, né tanto meno degli eventi rivoluzionari, ma piuttosto la ricostruzione delle pratiche sociali, delle mentalità collettive, dei luoghi fisici di socializzazione che fanno da sfondo all’apprendistato alla politica di individui e gruppi. I saggi qui presentati sulla cultura scientifica e l’associazionismo accademico di fine ‘700, sulla circolazione delle notizie nel 1848, su Napoli e la provincia abruzzese nel 1799 offrono uno spaccato di come si compie il passaggio dal privato al pubblico, dalla passività all’attivismo, dalla conservazione all’innovazione, preparando il terreno a una rivoluzione tanto attesa, quanto innescata da eventi imprevisti. Questa, di conseguenza, non è un semplice cambio di governo, ma esperienza sociale, che sollecita appropriazioni di linguaggio e luoghi, nuove aggregazioni e infine scelte di schieramento, ed è quindi momento costitutivo di una soggettività politica ?dal basso?, sganciata dal monopolio statale del politico.
Tutto ciò spiega perché si debba rivedere il giudizio sul 1799 come ?rivoluzione passiva? e perché la dialettica politica di quei mesi non si esaurì nella dicotomia progressismo/oscurantismo, ma vide piuttosto il tentativo del popolo, soprattutto napoletano, di costituirsi come soggetto fondativo del potere monarchico, mentre nel fronte filofrancese confluivano rivoluzionari giacobini, ma anche elementi del ?partito d’ordine?. In tal senso, la sconfitta della rivoluzione si rivela solo parziale, perché essa spinse la borghesia proprietaria a identificarsi politicamente, a trasformare desideri e passioni settecentesche in ?interessi?, mentre molti uomini di scienza e di cultura diventavano funzionari e professionisti. Da ciò deriva il passaggio dall’amministrazione della terra a quella del territorio in epoca murattiana, che non a caso privilegiò la dimensione provinciale come teatro dell’egemonia borghese e di coinvolgimento delle fasce superiori del popolo nel movimento costituzionale su base cattolico-nazionale, sfociato nella rivoluzione del 1820-21. Fallita questa, si consumò la rottura tra liberali e democratici, tra riformismo burocratico e politico che avrebbe indebolito anche i rivoluzionari del ’48 e determinato l’esito della ?rivoluzione? unitaria sotto l’egida dei moderati. Per l’autrice, dunque, pur nelle sconfitte la rivoluzione agisce non solo come memoria, ma anche come presenza; resta da capire, però, il paradosso e le conseguenze di un’egemonia costruita su battaglie perse e le cause di queste battute d’arresto, forse proprio da individuare nei limiti dei processi di socializzazione e apprendistato politico delle élites meridionali.

Nicola Antonacci