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Roberto Martucci – L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864 – 1999

Roberto Martucci
Sansoni, Milano

Anno di pubblicazione: 1999

Studioso di storia costituzionale, Roberto Martucci ricostruisce le dinamiche evenemenziali dell’unificazione politica italiana. Il suo è un Risorgimento ricco di punti interrogativi – tuttora inevasi – e assai meno lineare di quanto ritenga il senso comune storiografico. Basata sulla rilettura di fonti classiche (carteggi, memorialistica, ecc.), talvolta puntigliosa al punto da adombrare le simpatie e le antipatie dell’a. (ma chi non ne ha?), la cronaca del 1855-64 restituisce con notevole efficacia un processo che appare debitore al quadro internazionale, oltre che ai soggetti interni alla penisola, e che coniuga strategie e casualità, rigore e approssimazione, il tempismo della politica e la fortuna degli audaci, la voce dei vincitori e l’insidioso silenzio dei vinti.
Di quegli anni, Martucci mette in rilievo i momenti storiograficamente più controversi e, spesso, sottostimati (dal ruolo del contesto diplomatico-militare alla drastica annessione del Mezzogiorno, dalle manipolazioni dei plebisciti alle insorgenze contadine), fino a sottolineare gli stessi limiti sistemici del nuovo Stato e della sua Carta, con l’ingombrante centralità della monarchia, il ruolo controverso del premier e un modello di suffragio ristretto che, rileva l’a., avrebbe privato il paese di un importante strumento di divulgazione politica e nazionale. Ma, soprattutto, Martucci giudica temeraria, della strategia cavouriana e moderata, “la compressione dei tempi storici, realizzata attribuendo in soli venti mesi una configurazione statale unitaria e accentrata a una realtà che era stata per almeno quattordici secoli pluristatale e policentrica” (p. 12).
I libri degli storici sono debitori del proprio tempo, tant’è che non di rado finiscono per soccombere al medesimo destino dei figli di Crono. Divorati dalla politica politicante. C’è da sperare che L’invenzione dell’Italia non venga enfatizzata da un revisionismo ideologico-mediatico antirisorgimentista che, in anni di crisi dello Stato centrale e sociale, sembra evocare gli storici steccati del Tevere e del Garigliano. La discussione del paradigma liberale del 1860, e delle sue indubbie rigidità, non può essere confusa con taluni umori antiunitari – magari filoclericali o filoborbonici – che emergono dall’incerto discorso pubblico dell’Italia fin de siècle. Per altro verso, sarebbe un peccato se, timorosi di scottarsi al fuoco della polemica politica, gli studiosi finissero per ignorare un’opera sincera, stimolante e libera da pigrizie di “scuola”.

Paolo Macry