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Romolo Gobbi – Una revisione della Resistenza. Al di là delle verità “ufficiali” – 1999

Romolo Gobbi
Bompiani, Milano

Anno di pubblicazione: 1999

I revisionismi insistono su quei nodi della storia di ogni nazione che più ci hanno coinvolti, sul “passato che non passa” di ogni identità collettiva. Così, il tema centrale del dibattito revisionistico italiano è evidentemente il fascismo e la Resistenza. Tra i vari filoni del revisionismo, un caso abbastanza particolare (ma non isolato) è quello di Romolo Gobbi. Docente dell’Università di Torino, negli anni ’60 si occupa del ruolo della classe operaia, in particolare di quella torinese, nella Resistenza (L’insurrezione di Torino, 1968; Operai e Resistenza, 1973). Un operaista storico della Resistenza che, dopo una nostalgica commemorazione della classe operaia in via di estinzione (Com’eri bella classe operaia, 1989), riprende il percorso iniziato vent’anni prima scrivendo Il Mito della Resistenza, che suscitò, quando apparve per Rizzoli nel 1992, una serie di polemiche piuttosto vivaci. Una revisione della Resistenza. Al di là delle verità “ufficiali”, è la “summa”, agile e veloce, delle sue posizioni.
Punto di partenza è per Gobbi l’interpretazione degli scioperi del marzo 1943, che le narrazioni “epiche” della Resistenza (di Battaglia, Vaccarino, Pavone) indicano come decisivi per il crollo del regime e che i partiti antifascisti, ed in particolare il Pci, hanno da allora letto come il segno di un antifascismo diffuso, su questa lettura basando il proprio mito della Resistenza. Al contrario, secondo Gobbi quegli scioperi ebbero motivazioni non di carattere politico, ma legate ai temi tipici dello spontaneismo operaio: aumenti salariali, riduzioni di orario, migliori condizioni di lavoro. In quest’ottica, che privilegia l’”autonomia della classe operaia”, Gobbi riesamina molti momenti e temi cruciali della storia della Resistenza, dall’8 settembre, a Salò, al 25 aprile, spesso utilizzando fonti letterarie come l’amato Fenoglio del Partigiano Johnny, testimonianza giudicata essenziale per dimostrare la mancata partecipazione, o addirittura l’avversione del mondo contadino alla Resistenza (ma utilizzando I piccoli maestri di Meneghello l’a. sarebbe giunto a conclusioni esattamente opposte).
Su queste basi Gobbi muove una critica radicale all’ideologia resistenziale. Se è stata necessaria per ricostruire l’identità nazionale dopo la guerra, essa ha anche contribuito a bloccare il sistema politico italiano e l’alternanza nella gestione del potere, e sarebbe stata determinante per la nascita e lo sviluppo del terrorismo. In ogni caso, il mito della Resistenza non è più utile ad aggregare la nazione italiana e a risolvere i problemi che essa deve affrontare: “L’Italia non corre alcun pericolo di essere aggredita da eserciti stranieri e invece viene sistematicamente invasa da migliaia di immigrati nei cui confronti non possono certo essere usati i metodi e i valori della resistenza”. Così si conclude il libro. Dall’operaismo dei “Quaderni piacentini” all’insofferenza più o meno velata nei confronti degli extra-comunitari, il passo non è, apparentemente, breve. A Gobbi è riuscito.

Giovanni Scirocco