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Sandro Gerbi – Tempi di malafede. Una storia italiana fra fascismo e dopoguerra. Guido Piovene ed Eugenio Colorni – 1999

Sandro Gerbi
Einaudi, Torino

Anno di pubblicazione: 1999

Sandro Gerbi discende da quella aristocrazia intellettuale ebraica che alla civiltà liberale in Italia ha dato un apporto di capitale importanza – suo padre, Antonello, iniziato al giornalismo da Claudio Treves, fu allievo di Meinecke e pupillo di Raffaele Mattioli – e che, con stupore, si trovò colpita dai provvedimenti proposti dal fascismo e firmati dal Re e isolata in una società che fin lì non si era accorta che l’essere ebrei costituisse una colpa. In questo libro Gerbi fa la storia parallela di due personaggi che furono amici di suo padre, Guido Piovene ed Eugenio Colorni. Studenti all’Università di Milano negli anni del fascismo avanzante, hanno a punti di riferimento due maestri, Giuseppe Antonio Borgese e Piero Martinetti, si scontrano, anche fisicamente, con lo squadrismo milanese. Poi le loro strade divergono. Piovene, scrittore destinato a lasciar traccia nella storia della letteratura italiana, diventa giornalista, si fa apologeta del fascismo, giunge a scrivere una recensione entusiastica di un osceno libello antisemita, Contra Judaeos, di Telesio Interlandi. Colorni si dedica agli studi di filosofia, aderisce ai gruppi clandestini di Giustizia e Libertà, diventa l’organizzatore del “Centro Interno” socialista, finisce al confino a Ventotene dove incontra Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. Insieme partoriscono il “Manifesto” che dall’isola ha preso il nome e che è il più lucido dei testi federalisti fioriti nella Resistenza. Redattore dell’”Avanti!” clandestino, viene ucciso a Roma, alla vigilia della liberazione della città, da un sicario della banda Koch. I rapporti tra i due, interrotti dalla conversione al fascismo di Piovene, erano ripresi nel ’41. Si ritrovano a Roma nei mesi della Resistenza, Piovene comunista “irregolare”, Colorni dirigente socialista, si incontrano ripetutamente nel clima febbrile del rischio quotidiano, hanno intense discussioni. Piovene, nella sua sensibilità di scrittore, ha modo di avvertire la profondità del solco che li divide, non ne trae stimolo a una catarsi, ma non sa seppellire quella esperienza nell’oblìo. Il ricordo dell’amico, assillo di una coscienza inquieta, lo accompagnerà fin alla morte.
Il libro di Gerbi è nella originalità della impostazione esemplare. Fondato su una ricerca che ha i caratteri della completezza, si distingue per l’uso sobrio delle fonti, anche le più delicate, quali le corrispondenze private, le testimonianze e quelle di ancor più difficile uso quali i romanzi, analizzati con una fine indagine psicologica. La robustezza dell’impianto non incide sulla leggibilità del testo: la narrazione procede fluida e ricostruisce l’ambiente politico e culturale dentro il quale i protagonisti si muovono. I fili, tuttavia, non si disperdono, ma compongono un capitolo di storia della cultura italiana, senza sbavature moralistiche, ma alla luce di una coscienza morale che legittima il titolo e gli dà il rigore di un giudizio storico. Anche la “malafede”, prodotto ricorrente della storia, può e deve essere oggetto di storia.

Gaetano Arfé