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Sandro Scarrocchia – Albert Speer e Marcello Piacentini. L’architettura del totalitarismo negli anni trenta – 1999

Sandro Scarrocchia
Biblioteca di Architettura Skira, Milano

Anno di pubblicazione: 1999

Sandro Scarrocchia, storico dell’architettura, presenta in questo testo, versione rivista della sua tesi di dottorato, una riflessione sull’estetica della politica, riproponendo la questione, sempre attuale, del rapporto tra intellettuali e potere. La sua attenzione si è focalizzata sulle relazioni culturali che si attivano tra l’architettura italiana e quella tedesca nel periodo dell’Asse Roma-Berlino. Sebbene si tratti di arte ufficiale appoggiata dal regime, l’a. sottolinea una differenza sostanziale che distingue la produzione artistica italiana, da quella del nazionalsocialismo, per la forza creativa e la contaminazione con elementi della cultura del moderno. Per spiegare lo stretto legame tra potere e la sua autorappresentazione, l’a. analizza i contributi dei due “architetti di Stato”, il tedesco Albert Speer e l’italiano Marcello Piacentini che, negli anni del Patto d’Acciaio, elaborano e realizzano progetti monumentali. I sette capitoli del libro ripercorrono l’attività dei due professionisti, descrivendo la loro ricerca stilista con riferimenti alla tradizione classica, i reciproci viaggi di studio in Germania ed in Italia, la carriera ed i rapporti con le gerarchie politiche e con i capi Hitler e Mussolini. Scarrocchia ha dimostrato la scarsa collaborazione tra i due architetti e ha rilevato una reciproca concorrenza sui modi della rappresentazione e dell’esaltazione del potere, che si realizzano con un approccio differente: l’attualismo dell’architettura fascista, che corrisponde alla modernità, e il millenarismo di quella nazionalsocialista. Lo scopo dell’a. è di indagare sul contributo che le architetture di Speer e di Piacentini forniscono alla costruzione dell’immagine ideologica dei regimi fascista e nazista. Il ricorso all’analisi comparativa dei due sistemi ha messo in evidenza come, nel processo di trasformazione di questi in istituzioni totalitarie, l’architettura assume la funzione rappresentativa e strategica dello scenario politico. L’uso dei materiali cinematografici, utilizzati dall’a. come fonti per la storia edilizia e la ricostruzione della ricezione di questa estetica di regime, arricchisce sicuramente l’analisi storica ma, contemporaneamente, crea dei limiti all’interpretazione. La domanda, che si pone a questo genere di operazione storiografica, a cavallo tra storia dell’arte e quella dell’architettura, riguarda l’effettiva capacità di decifrare le vicende architettoniche ed urbanistiche, cariche di riferimenti simbolici e storici, da parte della “massa”, con un livello culturale, in particolare, quello italiano, ancora insufficiente. La questione apre una problematica importante; ripercorrere la storia del consenso, a partire dal “basso”, potrebbe far emergere nuove interpretazioni e restituire una dimensione più reale alle pratiche di ricezione popolare dell’estetica della politica.

Cristina Accornero