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Simon Martin – Calcio e fascismo. Lo sport nazionale sotto Mussolini – 2006

Simon Martin
Milano, Mondadori, 339 pp., euro 10,40 (ed. or. Oxford, 2004)

Anno di pubblicazione: 2006

Le diffidenze e lo scarso interesse riservati allo sport e all’educazione fisica dalle classi dirigenti liberali e dalle organizzazioni cattoliche e socialiste lasciarono ampi e in gran parte inesplorati spazi alla politica sportiva fascista. A partire dal 1926 ? con una serie di importanti interventi strutturali ed organizzativi ? il fascismo puntò in particolare sul calcio, visto come una ghiotta opportunità per ottenere legittimazione e consenso, ridisegnando i confini tra pubblico e privato ed «occupando» il leisure time di crescenti schiere di appassionati. Simon Martin analizza con abbondanza di riferimenti il consapevole utilizzo dello sport e dunque dei suoi miti, simboli, rituali e ambiti di rappresentazione ? in primis quelli calcistici ? come strumento di integrazione e nazionalizzazione delle masse. I successi della Nazionale, vincitrice delle Olimpiadi del 1936 (con la squadra universitaria) e dei Campionati mondiali del 1934 e del 1938, furono esaltati dalla propaganda del regime, che li presentò come risultati del proprio investimento nell’educazione fisica della prima generazione fascista. L’unità e la compattezza della squadra italiana offrirono inoltre la rappresentazione plastica di quella società organica in cui l’apporto dei singoli si armonizzava e si sacralizzava nel successo dell’insieme, dotando l’immaginario collettivo di leggendari eroi popolari. Al contempo, la crescente militarizzazione del lessico sportivo sembrava preludere al pieno dispiegamento dei «destini della patria», dei quali le folgoranti affermazioni degli «azzurri» divenivano presagi e conferme. I limiti e le contraddizioni del processo di «creazione di un senso di comunità nazionale », come lo definisce l’autore, sono acutamente posti in evidenza attraverso due specifici punti di osservazione: quello relativo all’architettura sportiva del regime ? sempre oscillante tra l’intento di recuperare i fasti della romanità e la tensione verso il razionalismo modernista ? che finì per tradursi in un pragmatico eclettismo nel quale convissero suggestioni e identità molto diverse; l’altro, riguardante l’organizzazione su scala nazionale dei campionati calcistici delle serie superiori, che in realtà parve rinfocolare appartenenze regionalistiche e campanilistiche, drammatizzate nel corso di molte infuocate partite, costellate da violenti scontri tra le opposte tifoserie e da furenti polemiche tra gli organi di informazione locali, assai di rado capaci di sganciarsi dall’aperto e aprioristico sostegno alle compagini delle rispettive città in nome dell’unità della nazione. Per contro, l’analisi di Simon Martin, che nel complesso contestualizza efficacemente lo «sport nazionale» durante il ventennio fascista in un quadro disegnato intorno ai temi centrali dell’identità, del consenso, del rapporto tradizione/modernità e della rigenerazione nazionale e razziale, pare in qualche misura sottovalutare proprio quest’ultimo aspetto, che pure ricorre di frequente e con grande rilevanza nelle fonti citate dallo stesso autore lungo tutto il corso della trattazione.

Sebastiano M. Finocchiaro