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Simon Sebag Montefiore – Il giovane Stalin – 2010

Simon Sebag Montefiore
Milano, Longanesi, 554 pp., € 29,00 (ed. or. London, 2007)

Anno di pubblicazione: 2010

È uno Stalin decisamente pop quello che esce da queste pagine, una sorta di iper-colorata icona di Andy Warhol. Tecnicamente si tratta del prequel di un precedente libro di successo dell’a. (Stalin. The Court of the Red Tsar, London, 2004, trad. it. Milano, 2005) e insieme a quello costituisce oggi la più diffusa biografia di Stalin nei circuiti librari occidentali, ciò che merita comunque un minimo di attenzione. Questa seconda opera, del resto, è stata definita «magnifica» dal «Times», nonché «autorevole» e «meticolosa» dal «New York Times», mentre il «Guardian» ne ha lodato «la penetrazione psicologica e l’onniscienza sociale». Più realisticamente, bisogna riconoscere che l’a. ha potuto ricavare dagli archivi georgiani e russi un’infinità di nuovi aneddoti, che ha abilmente provveduto a inquadrare attraverso stereotipi etnici molto attualizzati. La «rozzezza beduina» (p. 392) dell’«attaccabrighe seriale» (p. 152) Stalin – «un devoto marxista, caratterizzato da un fervore quasi islamico» (p. 273) e da una forte propensione per la violenza di tipo terroristico – risulta così avere profonde radici nella sua provenienza da «un paese che praticamente galleggiava sul vino» e nella cultura maschilista diffusa in Georgia «come in Italia» (p. 53). Il parallelo tra partito rivoluzionario e Cosa nostra permea del resto tutto il volume, che si sforza di descrivere questa originale mafia composta da «ossessivi autodidatti» (p. 142), semi-psicopatici che le autorità zariste inutilmente mandavano al confino in Siberia, o meglio «in vacanza» (p. 150), come si narra nel capitolo Il georgiano intirizzito (p. 148). L’inquadramento storico complessivo è altrettanto rude: la rivoluzione del 1905 risulta essere soprattutto un «tempo d’illegalità», in cui prosperano «teppisti analfabeti e tagliagole» (p. 177) e il soviet «si attribuisce sfrontatamente il ruolo di governo parallelo» (p. 186), quella del 1917 una sorta di baccanale in cui limousine requisite «scorazzano» piene di «ragazze assai poco vestite» mentre si diffondono «opuscoli esplicitamente pornografici» (p. 367). I riferimenti agli scritti di Stalin sono debolissimi, concentrati per lo più sulle sue notevoli poesie giovanili, ma l’a. è ben cosciente della storiografia esistente e, pur tendendo spesso a eliminare dalla narrazione cultura e contesto, in genere sposa le cause giuste: il giovane Stalin non fu un agente dell’Ochrana, anche se coinvolto nel duro gioco delle reciproche infiltrazioni, non fu il grigio personaggio delle caricature di Trockij, mostrò fin dall’inizio un buon livello intellettuale e, malgrado le apparenze, ebbe un ruolo dirigente nel 1917. In definitiva, fu un «gigante della storia» come Churchill, Roosevelt e Hitler (pp. 18-19). Se è così, però, è davvero un po’ un peccato dedicare gran parte del volume alle vicende delle sue numerose amanti, a partire dalla Allilueva, «seduttrice marxista con una forte carica sessuale» (p. 161) e in seguito suocera del povero biografato.

Antonello Venturi